Nello sport si è anziani a 40 anni. E, da "anziani", si può continuare a vincere!

Per Kimiko Date, l’highlander tascabile del tennis che a 43 anni ancora vince partite sul circuito femminile, la ricetta della longevità sta tutta nel verso di un haiku: «Cibo giapponese, molta acqua, tè verde. E almeno nove ore di sonno al giorno». Secondo Dino Zoff, che a 40 anni ha vinto un mondiale leggendario, «prima di tutto ci sono le motivazioni. Certamente è necessario aver fatto vita d’atleta per mantenersi integro e il dna conta. Ma c’è anche il piacere di fare attività sportiva, che dopo una certa età si apprezza ancora di più».

Continuare a vincere quando l’anagrafe consiglierebbe altre attività - la cura della discendenza, le telecronache dei trionfi altrui, l’uncinetto - è un’arte che gli atleti praticano sempre di più. Armin Zoeggeler, certo, ma non solo. E non solo in sport poco usuranti. Silvio Branco, anni 47, dodici titoli mondiali sparsi in quattro categorie di peso nel pugilato, sul ring è salito da giovanissimo, perché faticava a crescere, e non ha ancora deciso di scendere. «Mi chiamavano “schizzo”, pesavo 38 chili – racconta - ma sono cresciuto fino ad un metro e 88 e ho vinto titoli dai 72 ai 90 chili di limite: non mi sono risparmiato. Il segreto è non imborghesirsi, anzi, non “incivilirsi”, non rinunciare ai sacrifici. La molla che mi spinge ormai non sono i titoli, né i soldi, ma il fatto che se in palestra mi confronto con i pugili di 25 o 30 anni, il migliore resto ancora io: in Italia e nel mondo. Ho vinto due volte il “Golden Hercules” come miglior corpo nel mondo della boxe, ma è la mia mente che è no limits».

Ci vogliono fisici celestiali, cervelli cannibali, «e una straordinaria capacità di reagire agli infortuni e alle sconfitte», concorda Maurizio Zennoni, il medico di un altro boxeur senza età come Giacobbe Fragomeni. «Però ci sono anche metodologie di allenamento e di recupero che oggi consentono a chi una volta subiva infortuni “definitivi” di tornare a gareggiare, come nel caso di Giacobbe». Il dottor Luca Gatteschi fa parte dello staff della nazionale di calcio e punta il dito sull’intelligenza. «Per vincere da “anziani” bisogna essersi gestiti bene da giovani», spiega. «E capire che a 40 anni non ci si può allenare come a 20. Bisogna puntare sulla qualità, mirare magari alla pulizia del gesto più che sulla quantità. A 20 anni si recupera in fretta anche da un allenamento sbagliato, a 40 un quarto d’ora di troppo può causare problemi».

«Negli ultimi anni - prosegue Gatteschi - lo sport ha lavorato soprattutto sul recupero dagli infortuni e sull’alimentazione, perché si è capito che l’alimentazione è un complemento fondamentale della preparazione. La genetica poi agisce anche a livello mentale, aiuta a fare le scelte giuste. E l’atleta esperto può contare su schemi motori che si sviluppano nel tempo». Elena Casiraghi, ex canoista azzurra, specialista in nutrizione e integrazione dello sport, sottolinea l’importanza del carburante. «Alla fine la chiave è tentare di rallentare l’invecchiamento biologico, che colpisce tutti. Con l’età calano gli ormoni e diventa più facile infortunarsi, il segreto è un’alimentazione antinfiammatoria, quindi ricca di pesce, specie di mari freddi, di olio extra-vergine d’oliva, cibi che contengono i famosi omega 3. Va ridotta la quantità di pasta e pane, favorita l’assunzione di frutta e verdure ricche di colore, segno della presenza di elementi antiossidanti. E poi mirtilli e cacao per aumentare la lucidità mentale, che per un atleta è fondamentale». Un esempio di come si può sfidare l’età nutrendosi con saggezza? «Rossano Galtarossa, il canottiere che seguo, e che a 40 anni fa gli stessi tempi di quando ne aveva 18». Ragionare a tavola, per non invecchiare in campo e in pista.

Fonte: La Stampa (articolo a firma di Stefano Semeraro)
Nella foto: Oscar Gomer Swahn, tiratore svedese tre volte campione olimpico nel tiro. Ha vinto l'oro alle Olimpiadi di Stoccolma del 1912 (lui aveva 64 anni)  ed ha partecipato alle Olimpiadi fino all'età di 72 anni (vincendo un bronzo, Anversa 1920).

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