Il segreto della leggerezza.

"Se volessi scegliere un simbolo augurale per l’affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l’agile salto, improvviso, del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d’automobili arrugginite.

(…) È difficile per un romanziere rappresentare la sua idea di leggerezza, esemplificata sui casi della vita contemporanea, se non facendone l’oggetto irraggiungibile d’una quiete senza fine. È quanto ha fatto con evidenza e immediatezza Milan Kundera. Il suo romanzo L’Insostenibile Leggerezza dell’Essere è in realtà un’amara constatazione dell’Ineluttabile Pesantezza del Vivere: non solo della condizione d’oppressione disperata e all-pervading che è toccata in sorte al suo sventurato paese, ma d’una condizione umana comune anche a noi, pur infinitamente più fortunati. Il peso del vivere per Kundera sta in ogni forma di costrizione: la fitta rete di costrizioni pubbliche e private che finisce per avvolgere ogni esistenza con nodi sempre più stretti. Il suo romanzo ci dimostra come nella vita tutto quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. Forse solo la vivacità e la mobilità dell’intelligenza sfuggono a questa condanna: le qualità con cui è scritto il romanzo, che appartengono a un altro universo da quello del vivere.

Nei momenti in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei convolare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell’irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica. Le immagini di leggerezza che io cerco non devono lasciarsi dissolvere come sogni dalla realtà del presente e del futuro..."

Da: Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il nuovo millennio, Mondadori, 1993
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100 anni e oltre!

Articolo di Marco Trabucchi tratto da GrG news

I cento anni del premio nobel Rita Levi Montalcini ci offrono lo spunto per riflettere su un traguardo raggiunto da un buon numero di nostri connazionali. Autorevoli fonti confermano infatti che l’Italia è il Paese più longevo in Europa (il vecchio continente è battuto solo dal Giappone, campione mondiale di longevità): le donne vivono mediamente 85 anni e gli uomini 80. La ricerca ha affrontato anche il tema della qualità della vita, calcolando l’aspettativa di vita all’età di 50 anni e gli anni di vita libera da malattie. Mediamente nell'Unione Europea chi ha 50 anni si aspetta di vivere 28.6 e 33.5 anni rispettivamente se è uomo o donna; l’Italia ha il primato di sopravvivenza fra i paesi europei: 30.4 anni per gli uomini e 35.3 per le donne. L’aspettativa di vita priva di disabilità è calcolata in 17.3 anni per gli uomini (il 60% della aspettativa di vita totale) e in 18.1 anni per le donne (il 54% della vita rimanente).

Ma per raggiungere questo traguardo ci sono regole di vita da seguire o è solo la genetica a condizionare la lunghezza (e la buona salute) della nostra vita? Uno studio giapponese molto serio e documentato descrive i nove fattori più importanti per raggiungere i 100 anni in buone condizioni (cioè con un adeguato livello di autonomia fisica e di capacità mentali). Pur sapendo che le differenze genetiche e di stile di vita tra noi e i giapponesi sono molte, elenco questi fattori perché ritengo possano rappresentare un’indicazione importante per tutti su quello che si deve fare al fine di invecchiare bene (anzi, molto bene!). Ecco le condizioni: fare regolare esercizio; avere una buona vista; risvegliarsi autonomamente al mattino; preservare la masticazione; non aver bevuto alcool; non aver avuto gravi cadute dopo i 95 anni; mangiare frequentemente proteine; vivere a casa propria; essere maschio. I lettori troveranno in quest’elenco alcune indicazioni che ben conoscono –come il fare esercizio fisico- perché già le abbiamo ricordate anche in questa rubrica.

Altre invece meritano qualche chiarimento per non provocare preoccupazioni inutili. In premessa è doveroso precisare che i nove fattori rappresentano il massimo e che non sono tutti indispensabili per diventare “centenari felici”. Alcuni non dipendono da noi, come l’essere maschi. A questo proposito ricordo che gli appartenenti al sesso forte sono i sopravvissuti di una pesante selezione, perché la gran parte di loro è morta prima, mentre le donne mediamente vivono più a lungo. Altri fattori dipendono solo in parte da noi, come il mantenere una buona vista; infatti se alcune malattie dell’occhio non possono essere curate, altre, come la cataratta, possono essere combattute, purchè la persona si sottometta ad un semplice intervento (che però –lo sappiamo bene- non tutti vogliono subire). Lo stesso dicasi per la masticazione; talvolta le cure odontoiatriche e protesiche sono lunghe e noiose, però permettono di mangiare in modo regolare, con una adeguata quantità di proteine, ma soprattutto quello che piace. Tra le cose che dipendono da noi (almeno in parte) vi è anche il mantenimento di un sonno regolare, con un risveglio mattutino ad un’ora stabilita, senza rimanere a letto a poltrire oltre il necessario! Sappiamo bene come l’alzarsi possa costare ad alcuni anziani; adesso però abbiamo la dimostrazione che il sacrificio -per quanto pesante- porta a vantaggi importanti. Infine lo studio giapponese valorizza la permanenza della persona anziana nel proprio domicilio. A questo fine nella nostra città si è particolarmente sviluppata l’assistenza domiciliare, in modo da permettere di restare a casa anche a persone con problemi di salute e di autonomia, perché i muri dove abbiamo vissuto per lunghi anni continuano a rappresentare una valida difesa del nostro benessere. Nello studio giapponese non si parla del tono dell’umore; noi però sappiamo che chi è sereno e sa affrontare adeguatamente il trascorrere degli anni, dando senso alla vita in ogni momento, è candidato ad una vita più lunga.

Altri studi dimostrano che, oltre all’impegno di ciascuno per vivere bene più a lungo, entrano in gioco altri fattori che soni il frutto dell’impegno della società, della politica verso i cittadini.

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Quasi dodici milioni gli italiani con più di 65 anni. Meditate gente meditate!


Italia patria dei 'grandi nonni', 13 mila ultracentenari!
Un 'esercito' in cui non mancano malanni e acciacchi, ma che continua a veder crescere le sue fila a ritmi vertiginosi: sono circa 13 mila gli italiani che hanno superato i 100 anni, e uno su quattro è addirittura in forma, nonostante le tante stagioni alle spalle. A censire il numero dei connazionali che ha spento oltre 100 candeline è Roberto Bernabei, ordinario di geriatria all'università Cattolica di Roma. Che sottolinea come - tra i 'super nonni' (cioè gli ultracentenari) - circa il 45% sia addirittura autonomo, nonostante qualche problemino, mentre il restante 55% ha bisogno di aiuto e non è in buone condizioni.

L'Italia invecchia e lo fa a ritmi più sostenuti degli altri Paesi del mondo, "Giappone escluso - precisa l'esperto - La dice lunga il fatto che nel 1900 i 'grandi nonni' italiani erano soltanto 40, oggi invece sono ben 13 mila e negli anni a venire saranno molti di più". E le donne, nel traguardo dei 100, se la cavano molto meglio degli uomini. Da un estremo all'altro dello Stivale sono loro quelle che arrivano maggiormente agli ambiti 100, fatta eccezione per la Sardegna: "L'unica Regione - spiega Bernabei - dove gli ultracentenari raggiungono il pareggio nella 'sfida' tra i due sessi".

Italia, dunque, Paese longevo come pochi. "L'unico - afferma il geriatra - dove dal 2000 la popolazione sopra i 65 anni ha superato quella tra gli zero e i 19". Un giro di boa "che ha dell'incredibile ed è senza precedenti nella storia dell'uomo". Gli over 65 sono infatti 11,5 milioni, e tra questi sono circa 3 milioni quelli che hanno superato gli 80. "E nell'intera popolazione - aggiunge Bernabei - è stato osservato che il segmento che va oltre gli 85 è quello che cresce più rapidamente". Un fattore, secondo l'esperto, sottovalutato. "La paura di perdere la salute o di soffrire di demenza - fa notare - batte qualsiasi timore, anche quello della recessione economica. Eppure nessuno parla dell'Italia che invecchia. E' come se, su questo tema, ci fosse una grande rimozione collettiva".

Fonte: ADN Kronos

Qualcuno vi ha mai chiesto di essere saggi, ora che potreste esserlo?

Giovani o vecchi che si sia al momento, finché non ci consideriamo parte della continuità della vita continueremo a considerare la vecchiaia come una cosa separata dalla corrente centrale della cultura e i vecchi come altri, in un certo senso. In una cultura non tradizionale com’è la nostra, dominata dalla tecnologia, si dà molto più valore all’informazione che non alla saggezza. Tra le due, però, c’è una differenza: l’informazione implica l’acquisizione, l’organizzazione e la distribuzione capillare dei fatti, è un immagazzinamento di dati fisici. La saggezza, invece, coinvolge un’altra funzione, altrettanto essenziale: lo svuotamento e l’acquietamento della mente, l’applicazione del cuore, la mistura alchemica di ragione e sentimento. Nella modalità “saggezza” noi non elaboriamo informazioni in maniera analitica o sequenziale: ci teniamo un passo indietro e abbiamo una visione d’insieme, distinguendo ciò che conta da ciò che non conta, soppesando il significato e la profondità delle cose. La dote della saggezza è rara, nella nostra cultura: vi si trovano più spesso persone di conoscenza che fingono di essere sagge, ma che, sfortunatamente, non hanno coltivato la qualità della mente da cui nasce davvero la saggezza.

… In una cultura in cui l’informazione è più apprezzata della saggezza, comunque, gli anziani diventano obsoleti come i computer di ieri. Il vero tesoro invece viene ignorato: la saggezza è una delle poche cose nella vita umana che non diminuisce con l’età. Tutto il resto cade via, solo la saggezza aumenta fino alla morte, se viviamo con lucidità e capacità di osservazione e ci apriamo alle molte lezioni della vita. Nelle culture tradizionali che sono rimaste immutate generazione dopo generazione il valore del “vecchio saggio” si rintraccia facilmente; in una cultura come la nostra, invece, la saggezza è ben lontana dall’essere eccitante o attraente – o necessaria – come lo è navigare in Internet. Sentiamo il dover continuare a correre se vogliamo rimanere aggiornati, imparare l’ultima versione di Windows o provare quel nuovo macchinario in palestra. Sul mio computer tenevo un adesivo che diceva: “I cani vecchi possono imparare nuovi trucchi” ma ultimamente alle volte mi chiedo: quanti nuovi trucchi voglio imparare? Quanti di quei maledetti manuali voglio ancora leggere, in questa vita? Non sarebbe più facile semplicemente essere sorpassati?

Ram Dass, Cambiamenti. Accettare la vecchiaia e riscoprirne la ricchezza, Corbaccio, 2005
Foto: courtesy of Flickr

Invecchiare senza vergogna.

Siamo circondati da vecchi che invecchiano male, e non parlo soltanto dei declini fisici e mentali, delle malattie tipiche dei nostri anni, Alzheimer in testa e Parkinson in coda.

Non parlo neanche delle prospettive di eutanasia collettiva che il declino del welfare ci prospetta, secondo il bel libro orwelliano La morte moderna di Carl-Henning Wijkmark in questi mesi da Iperborea, o le prospettive di vita obbligata anche per gli incoscienti e i morti-vivi auspicate da Ratzinger, due forme speculari di orrore che non tengono conto delle volontà dell'individuo e che esprimono amor di morte e non amor di vita. Parlo di dignità della vecchiaia, di vecchiaie a loro modo felici, nei limiti in cui può essere felice la diminuizione della capacità di azione che è tipica della vecchiaia.

Il cinema, in grazia del fenomeno del divismo, ha spesso dato della vecchiaia un'immagine un po' assurda: Gary Cooper o John Wayne o Robert Mitchum o Cary Grant o Humphrey Bogart attorno ai settant'anni dovevano comportarsi sullo schermo come se ne avessero ancora trenta o quaranta, e intrecciavano romantiche storie d'amore con attrici che davvero ne avevano venti o trenta, e le dive non erano da meno, fatte e rifatte, tinte e ritinte. Ma c'era anche un cinema, per esempio, a Hollywood i film di Howard Hawks (ricordate Un dollaro d'onore?) o di John Ford (con Wayme, James Stewart, Fonda...) o di Anthony Mann (con Stewart) o di Peckinpah (ricordate Sfida nell'Alta Sierra?) che hanno raccontato una vecchiaia che tiene testa fino all'ultimo alla malvagità del mondo, alla cattiveria degli uomini e delle società.

Si disse, e non si sbagliava, che in tutto questo c'era una sicura influenza dell'opera di Hemingway, così rilevante per l'immagine dell'eroe nel corso del Novecento, o meglio, dagli anni trenta e fino ai sessanta di quel secolo. L'eroe doveva "morire in piedi", doveva tener fronte alle avversità e fino all'ultimo difendere la propria dignità personale, la propria immagine e stima di sé, la coerenza con i propri ideali di gioventù. L'età conta e come, ci veniva suggerito, ma i suoi acciacchi non giustificavano le cadute morali, non giustificavano l'adeguamento della morale alla decadenza fisica. Si tratta di due cose diverse e che devono restare tali, ci veniva detto.

Bene, il cinema d'oggi ci racconta di vecchi che si fingono giovani, e nessuno ne avverte più il ridicolo salvo una manciata di giovani, o quando è un cinema serio ci racconta una sorta di latente lotta tra l'egoismo dei vecchi e l'egoismo dei giovani (e sono, come sappiano, i vecchi a vincere, hanno il potere e il sapere dalla loro e si fanno spietati anche di fronte a figli e nipoti pur di assicurarsi una sopravvivenza nel privilegio. I politici per primi, e magari anche i papi.

Il film più bello che si può vedere in questi giorni nelle sale - assieme a due splendide lezioni di storia come il polacco Katyn di Andrzej Wajda e l'etiope Teza di Haile Gerima - è certamente Gran Torino di Clint Eastwood, che non mi pare un capolavoro come alcuni hanno scritto, ma che è sicuramente un ottimo film. Esso racconta per l'appunto una vecchiaia che inizialmente vediamo ringhiosa, insoddisfatta, chiusa e cupa, in una città o cittadina del Mid-West , la vecchiaia di un settantanovenne vedovo con figli lontani, che non ama e anzi disprezza e da cui non è amato, e che è rimasto tra i pochi "bianchi" che si ritengono all-Americans, americani al cento per cento (anche se è d'origine polacca e si chiama Kowalski). Ha fatto la guerra di Corea (i suoi tormenti sulla violenza che ha esercitato non sono la cosa più convincente della sceneggiatura) e ha poi passato tutta la vita lavorativa alla Ford. Circondato da immigrati (anche se nati negli Usa come lui) finisce, come in un vecchio e bel film inglese di John Boorman interpretato dal nostro Mastroianni, Leone l'ultimo, per incuriosirsi dell'Altro, di quella strana famiglia di orientali che vive al suo fianco, e finisce per farsi maestro di vita anche senza volerlo di un ragazzo asiatico che non ha davanti a sé modelli maschili forti a cui rifarsi, o che lo convincano. E che ha coetanei o ragazzi più grandi di lui divisi in bande etniche di imbecille violenza.

Non sto a raccontare la trama, peraltro lineare, semplice, prevedibile almeno per chi ha frequentato il cinema americano di cui si è parlato sopra, di cui Eastwood è stato un figlio diretto (e ben più un figlio di John Ford e di John Wayne, con i quali non mi pare abbia mai lavorato, che non di Sergio Leone, che lo ha lanciato a suo tempo in alcuni meravigliosi western italici, disancorati e straniati). Né i suoi risvolti psicologici e religiosi, la dinamica dell'azione, la soluzione ovviamente tragica ma moralmente chiarissima.

Gran Torino convince più di altri film di Eastwood, dall'ideologia più contorta e all'insegna di un americanismo del genere "il nostro sistema è pur sempre il migliore". Anche se è apparentemente meno ambizioso, e senz'altro è meno costoso, è un film più chiaro, più limpido. Anche nella soluzione finale. E' un film- testamento più convincente di altri precedenti suoi film che pure avevano anch'essi del testamento. Ha un messaggio ed è un messaggio semplice e apprezzabile, che in passato ci è stato inviato da tanti, nell'arte e nella vita, e che un altro grande regista-attore americano, Orson Welles, ha sintetizzato affermando che "l'importante nella vita è invecchiare bene".

In un'epoca di vecchiaie che si arrendono e si fanno bavose o di vecchiaie che oscenamente mimano una gioventù che non hanno, non mi pare affatto che questa sia cosa di poco conto.

Articolo di Goffredo Fofi ripreso integralmente da "Il Messaggero".

E' ufficiale, la pensione accorcia la vita...

Lavorare 5 anni in più riduce del 10% la mortalità per cancro e malattie cardiovascolari. Come dire: andare in pensione accorcia la vita, mentre restare attivi la allunga. Parte da questo dato, frutto di uno studio sulla popolazione greca pubblicato nel 2008 sull''American Journal of Epidemiology', il dibattito promosso dalla Fondazione Carlo Erba con il convegno 'Essere anziani oggi: età anagrafica o età biologica?'. Un evento in corso a Milano nella sede di Assolombarda, con l'intervento di numerosi esperti che lanciano alla classe politica della Penisola un appello a riflettere sul futuro.

Nel mondo occidentale - ricordano gli specialisti - il XXI secolo è il secolo degli anziani, basti pensare che i cittadini under 15 rappresentano in Europa appena il 20% della popolazione. Qualche numero italiano. Oggi nello Stivale la vita media ha raggiunto i 78 anni per gli uomini (era di 50 anni nel 1920) e gli 84 per le donne (51 nel 1920), tanto che una bimba del Duemila su 4 ha la probabilità concreta di arrivare a spegnere in scioltezza 90 candeline. E ancora: gli over 65, da 6 milioni che erano nei primi anni '70, oggi sono raddoppiati e nei prossimi trent'anni potrebbero triplicare; quanto poi agli ultrasessantenni, sono ormai quasi 10 milioni e 'copriranno' un terzo della popolazione nazionale nel 2018. Data entro la quale gli over 80 saranno aumentati al ritmo di 75 mila all'anno: una nuova mini-città di 'tempie grigie' che si materializzerà lungo il Paese.

Una carica di anziani che però, complici i progressi medici e tecnologici, spesso di vecchio hanno solo la carta d'identità. Le statistiche fotografano infatti un'esercito di settantenni attivi, prestanti, capaci e ansiosi di produrre. E così le cifre, unite ai risultati della ricerca greca, "invitano a riflettere su quanto sia necessaria per l'anziano una riconversione produttiva dall'ozio all'impegno", afferma Giorgio Annoni, geriatra dell'università di Milano-Bicocca e responsabile del comitato scientifico della Fondazione Carlo Erba. "Un coinvolgimento motivato - fa eco Roberto Rettani, presidente della Fondazione - può rappresentare il superamento di uno stereotipo che vede nella vecchiaia una stagione improduttiva della vita". Ma "tale superamento - avverte - dovrà essere accompagnato dalla capacità da parte della classe politica e dirigente di delineare una strategia efficace sul piano dell'economia, del welfare, dei meccanismi di solidarietà intergenerazionale". Insomma "un'equazione complessa, ma risolvibile", è convinto l'esperto.

Fonte: ADN Kronos

Chi predica bene razzola male. Anche a tavola...

Per la salute, gli italiani sono bravi in teoria... meno in pratica. Sembra proprio così, almeno leggendo i risultati di una ricerca condotta da Hero Italia nel secondo semestre 2008, attraverso interviste via web su 1.000 utenti del sito 'www.abcdelbenessere.it'. Benchè il 72% degli intervistati dica di prestare attenzione ai dati riportati sulle etichette dei cibi e ben l'80% assicuri di essere molto attento al controllo dell'apporto calorico degli alimenti che consuma, questo non si traduce in comportamenti virtuosi nella vita quotidiana.

Il 56% degli intervistati confessa, infatti, di non riuscire a seguire un regime alimentare equilibrato, il 62% ha un proprio metodo riguardo allo stile a tavola (solo il 24% segue il consiglio del medico) e il 45% dichiara di non praticare mai sport oppure di fare attività fisica solo saltuariamente.

Anche la regola aurea di suddividere l'alimentazione in 5 pasti al giorno è seguita solo dal 20% degli intervistati, mentre si salva il 63% che è abituato a fare una colazione completa ogni giorno. Un po' pasticcioni, quindi, ma sicuramente dotati di autostima: l'88% dice che la spinta fondamentale per cercare di migliorare il proprio stile di vita è quella di stare meglio con se stessi (solo il 6% si cura per piacere agli altri).

Fonte: ADN-Kronos

Vita più corta se il giro vita è ampio.

La circonferenza dell'addome predice rischi di cuore per lui e lei

Il rischio di insufficienza cardiaca? Dipende dalla circonferenza dei nostri jeans, sia che si appartenga al sesso forte che al gentil sesso. Lo conferma uno studio condotto dagli scienziati del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston (Usa), che dalla rivista 'Circulation' tornano sull'argomento del legame fra chili di troppo sul girovita e pericolo di disturbi cardiovascolari.

Secondo i loro studi, la circonferenza addominale è un fattore predisponente a problemi come l'insufficienza cardiaca, anche se l'indice di massa corporea (Bmi) rientra nella norma. Analizzando i dati di due ricerche condotte sulla popolazione svedese per un totale di 80 mila persone, gli studiosi hanno rilevato che, se anche una persona 'vanta' un Bmi pari al massimo a 25 (normopeso), una circonferenza addominale di 10 centimetri superiore a quella che dovrebbe essere aumenta il rischio di problemi al cuore del 15% nelle donne.

Fonte: ADN-Kronos

Il segreto per arrivare ai 100 anni? Rispettate anche i vostri desideri ;-)

Elisabeth Weichselbaum, della British Nutrition Foundation, ha raccolto una selezione di consigli di chi ha passato il secolo. E così si scopre che l'elisir di lunga vita sta pure nei panini imbottiti, anche con la salsiccia, fino al 'bicchierino', in barba a diete e nutrizionisti.

Insolita e piena di elementi curiosi: nella dieta dei centenari non mancano consigli da brivido per nutrizionisti e amanti della linea, ma gli anziani che si sono tolti la soddisfazione di spegnere più di 100 candeline sono gli unici a poter avanzare pretese sui segreti della longevità. Così qualcuno ha pensato bene di raccogliere una selezione di diete e consigli, senz'altro insoliti, proposti da chi ha superato i 100 anni.

Nell'elenco pullulano le stranezze. Qualche esempio? A dispetto di chi sostiene che non bisogna eccedere con le uova, Florence Baldwin, un'allegra nonnetta di 113 anni, è convinta che l'elisir di lunga vita si nasconda in un sandwich con uova fritte ogni giorno. Per l'olandese Hendrikje van Andel-Schipper, arrivata fino ai 115 anni, il segreto della longevità è in un bicchiere di succo d'arancia accompagnato da gustose aringhe, fonte di omega 3. Ma la più anziana di tutti, l'israeliana Mariam Amash, attribuisce le sue 120 candeline al fatto di 'mangiare verde'.

Non si deprimano i golosi, perché tra i 'supernonni' c'è anche chi, come la giapponese Mitoyo Kawate di 114 anni, ha dato il merito dei suoi anni alla torta ripiena di crema che compare regolarmente nel suo menù, in barba a sushi e sashimi. Mentre la scozzese Lucy d'Abreu, passata a miglior vita a 113 anni, sosteneva che per vivere a lungo non deve mai mancare un bicchierino di brandy e un ginger ale secco.

E ancora, per l'ucraino Hryhoriy Nestor la ricetta di lunga vita passa per un involtino di pane con salsiccia fatto in casa. Mentre la britannica Ada Mason è convinta di essere arrivata a quota 111 grazie al fatto di mangiare panini imbottiti e molto salati. La colazione tipica scozzese a base di porridge è invece il segreto dei 111 anni di Annie Knight. Tutt'altro il menù preferito di Yukichi Chuganji, che ha raggiunto la ragguardevole età di 114 anni a forza di riso bollito e pollo, nonostante l'avversione per le verdure.

Mentre secondo Sakhan Dosova (130 anni), che stando alle autorità del Kazakhistan sarebbe la donna più vecchia del mondo, l'ideale è evitare i dolci e consumare tanto formaggio in fiocchi (cottage cheese). Infine, l'ecuadoregna Maria Esther de Capovilla è arrivata a 116 anni grazie alla buona abitudine di bere, fin da piccola, il latte d'asina della fattoria di famiglia.

Fonte: http://www.adnkronos.com/IGN/Cronaca/?id=3.0.3169606642

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