Quando, per fare una cosa perfetta, ci vuole tutta una vita.

Tra le molte virtù di Chuang-Tzu c’era l’abilità nel disegno. Il re gli chiese il disegno di un granchio. Chuang-Tzu disse che aveva bisogno di cinque anni di tempo e d’una villa con dodici servitori. Dopo cinque anni il disegno non era ancora cominciato. “Ho bisogno di altri cinque anni” disse Chuang-Tzu.
Il re glieli accordò. Allo scadere dei dieci anni, Chuang-Tzu prese il pennello e in un istante, con un solo gesto, disegnò un granchio, il più perfetto granchio che si fosse mai visto.

Riportato da:
Italo Calvino, Lezioni Americane. Sei proposte per il nuovo millennio, Garzanti, 1985
Foto: courtesy of Flickr (http://www.flickr.com/photos/wizardesign/1264980462/)

Ma, se non sono la stessa, allora mi devo chiedere: chi sono?

"Dio mio, quante cose strane succedono oggi. Invece ieri tutto andava liscio. Che sia stata scambiata, stanotte?
Vediamo un po’: quando mi sono alzata, stamattina, ero sempre la stessa?
A ripensarci mi sembra di ricordare che mi sentivo un po’ diversa…
Ma se non sono la stessa, allora mi debbo chiedere: chi sono?
Ecco, questo è il grande problema!"
(…)
Per qualche istante, il Bruco ed Alice si guardarono in silenzio.
Infine il Bruco si tolse di bocca la pipa e, con voce languida ed assonnata, chiese: “E tu chi sei?”
Questa non era certamente la maniera più incoraggiante per iniziare una conversazione. Alice rispose con voce timida: “Io… io non lo so, per il momento, signore … al massimo potrei dire chi ero quando mi sono alzata stamattina, ma da allora ci sono stati parecchi cambiamenti”

“Che cosa vuoi dire? – disse il bruco, severo. – Spiegati!”
“Mi dispiace, signore, ma non posso spiegarmi – disse Alice – perché io non sono più io; capisce?”
“No” disse il Bruco.
“Mi dispiace di non sapermi esprimere più chiaramente – riprese Alice con molta gentilezza – ma non ci capisco niente neppure io. Aver cambiato di statura tante volte in un son giorno è una cosa che confonde parecchio, mi creda”.

Da: Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie

La gente non vive, ma mantiene solo in vita il suo corpo.

"Ho detto spesso alla gente che il modo per vivere realmente è morire. Il passaporto per la vita è immaginarsi nella tomba. Immaginatevi di giacere nella bara, in qualsiasi posizione. In India, li mettiamo nella cassa a gambe incrociate… Quindi, immaginatevi distesi, morti. Ora, osservate i vostri problemi da quel punto di vista. Cambia tutto, non è vero?
Che bella meditazione. Fatela ogni giorno, se ne avete il tempo. E' incredibile, ma diventerete più vivi. Uno dei miei libri, Sorgenti, contiene una meditazione di questo tipo. Si vede il corpo decomposto, poi le ossa, poi solo polvere.
Ogni volta che parlo di questo, la gente dice: “Che schifo!” Ma cos’è che fa tanto schifo? È la realtà, per l’amor del cielo! Tuttavia molti di voi non vogliono vedere la realtà. Non volete pensare alla morte.
La gente non vive. La maggior parte di voi non vive, mantiene soltanto in vita il suo corpo. Questa non è vita. Non vivete finché non vi importa un fico secco se vivete o morite. A quel punto, iniziate a vivere. Quando siete pronti a perdere la vostra vita, la vivete. Ma se proteggete la vostra vita, siete morti.
Per esempio, ve ne state seduti lassù nell’attico e io vi dico: Venite giù! E voi rispondete: “No, ho letto di alcune persone che sono scese. Sono scivolate e si sono rotte il collo: è troppo pericoloso”. Oppure non riesco a farvi attraversare la strada perché voi dite: “Sai quante persone vengono investite mentre attraversano?”
Se non riesco a farvi attraversare una strada, come faccio a farvi attraversare un continente? E se non riesco a farvi guardare oltre le vostre piccole e limitate convinzioni per farvi scoprire un altro mondo, allora siete morti, siete completamente morti. La vita vi ha solo sfiorato.

Anthony De Mello, Messaggio per un’aquila che si crede un pollo, Piemme Pocket, 2001
Foto: courtesy of Flickr (http://www.flickr.com/photos/mydnight296/44793885/)

Aggiungiamo un po' di ironia alla nostra vita.


A mio parere, Achille Campanile è stato uno scrittore, giornalista e drammaturgo tra i più creativi e brillanti del nostro passato. Un consiglio per le vacanze: invece di dedicare tempo all'ennesima ripetizione di un film stravisto, alle riviste patinate che tanto non ci dicono niente di nuovo o al nuovo romanzo che non resisterà ai primi temporali estivi, recuperiamo dal passato l'intelligente arguzia di un uomo che ha preservata intatta la capacità di farci sorridere e pensare.

Buona estate a tutti, con le parole di Achille Campanile.

"Questi vecchi mi hanno sempre meravigliato.
Ma come mai sono riusciti a passare in mezzo a tanti pericoli,
arrivando sani e salvi alla più tarda età?
Come hanno fatto a non finire sotto un'automobile,
come hanno potuto superare le malattie mortali,
come hanno potuto evitare una tegola,
un'aggressione,
uno scontro in ferrovia,
un naufragio,
un fulmine,
una caduta, un colpo di rivoltella?
... veramente questi vecchi debbono essere protetti dal demonio!
Alcuni ancora osano traversare la strada
LENTAMENTE,
ma sono matti?"

Il nostro corpo sa. Impariamo ad ascoltare.

"Alla fine (...) mi resi conto che non erano l’età e la vecchiaia l’oggetto delle mie ansie; che il mio rifiuto e la mia provocazione erano legati al timore di dover rinunciare a un modo di essere, non alla prospettiva di cessare di essere. E sebbene avessi sempre biasimato attrici, atleti, e altri adoratori della giovinezza che erano incapaci di immaginare un futuro diverso – alcuni dei quali avrebbero preferito morire piuttosto che invecchiare – ero caduta nella stessa trappola.

Forse uno dei compensi dell’età è un corpo meno indulgente, che trasmette i suoi avvertimenti più rapidamente – non come tradimento ma come saggezza… Così iniziai ad impormi uno stile di vita più sano, divenni più incline all’introspezione, mi concessi più tempo per me stessa e per l’abitudine alla scrittura, come testimoniano queste pagine.

Nella mia fase attuale di invecchiamento e di ascolto, ho compreso l’importanza di partire dal corpo e dai cinque sensi. Per questo mi rivolgo al mio corpo per sapere come sarà il nuovo paese della vecchiaia. Guardare le mani di cui sono così fiera, per esempio, e constatare che presentano sul dorso macchiette scure dovute all’età, all’inizio è stato scioccante. Così chiedo loro cosa intendono esprimere. “Una bandiera sorretta da mani cosparse di macchie di fegato” mi rispondono. Ne ricavo il titolo per un prossimo articolo, oltre a sospettare che queste macchie siano dotate di un certo senso dell’umorismo".

Gloria Steinem, Autostima. Un viaggio alla scoperta della nostra forza interiore, BUR, 1997
Foto: courtesy of Flickr (http://www.flickr.com/cool-photos/902415751)

Orazione sulla dignità dell'uomo.


Non ti ho fatto
né celeste né terreno,
né mortale né immortale,
affinché di te stesso
quasi libero
ed onorevole plasmatore
ed artefice,
tu ti forgiassi
nella forma
che avresti prescelto.


Pico della Mirandola, 1486
“Orazione sulla dignità dell’uomo”


Riportato in: Colombero C., Uomo e natura nella filosofia del Rinascimento, Loescher, 1976
Foto: courtesy of Flickr (http://www.flickr.com/photos/fotoharing/643472366/)

L'arte di invecchiare

“Mettendo a confronto la gioventù e la vecchiaia, Schopenhauer soppesa minuziosamente i pro e i contro dell’una e dell’altra. La sua convinzione è che – essendo la vita una miseria, e il dolore l’unica realtà – gli aspetti negativi si distribuiscano equamente:

“Il carattere della prima metà della vita consiste in un’ansia insoddisfatta di felicità, quello della seconda metà si riduce alla preoccupazione dell’infelicità”.

Nella prima dominano illusioni, sogni e chimere, nella seconda il disinganno in cui “la nullità del tutto si rivela”.
“Nella gioventù domina l’intuizione, nella vecchiaia il pensiero, quella è l’epoca della poesia, questa piuttosto della filosofia”.

Nella prima “vi è una maggiore creatività”, nella seconda “maggior giudizio, penetrazione e fondatezza”. E se è vero che nella gioventù prevalgono giocondità e socievolezza, mentre nella seconda l’esperienza accumulata rende inclini alla misantropia; se è vero che nella prima l’energia vitale zampilla, mentre nella seconda va inesorabilmente estinguendosi come l’olio di una lampada prossima a spegnersi; è altrettanto vero che la vita è come “un tessuto ricamato, di cui ognuno può vedere il lato esterno nella prima metà della sua esistenza, e il rovescio nella seconda: quest’ultimo non è così bello, ma più istruttivo, poiché lascia riconoscere la connessione dei fili". Insomma:
“Soltanto chi diventa vecchio acquista una rappresentazione concreta e pertinente della vita, dominandola nella sua totalità e nel suo sviluppo naturale, e soprattutto considerandola, non soltanto come gli altri secondo una prospettiva iniziale, ma anche secondo quella finale, tanto da riconoscere in tal modo completamente la sua nullità”.
Insomma:
“i primi quarant’anni della nostra vita forniscono il testo, i trenta seguenti il commento, che solo ci insegna a comprendere rettamente il vero significato e la coerenza del testo, oltre che la morale e ogni finezza del medesimo”.
Non è dunque vero che la gioventù sia l’”epoca felice della vita e la vecchiaia l’epoca triste”. Né che “la sorte della vecchiaia si riduca a malattia e noia”. Al contrario: “La gioventù è trascinata dalle passioni in ogni direzione, con poca gioia e molto dolore. Esse lasciano invece riposare la fredda vecchiaia, la quale acquista ben presto un colorito e un atteggiamento contemplativo: la conoscenza infatti ci libera e ottiene la supremazia”... Il vecchio possiede dunque quella particolare tranquillità d’animo che gli consente di guardare con distacco alle lusinghe, alle stravaganze, ai dolori del mondo. “Tale calma è un’importante parte costitutiva della felicità, e propriamente anzi la sua condizione e il suo elemento essenziale”
Che fare? La conclusione del nostro coriaceo pessimista – in realtà un ottimista bene informato – è semplicissima: “Man muss nur huebsch alt werden; da gibt sich Alles”. Ovvero: “Basta solo invecchiare bene, e tutto torna”.

Dall'introduzione di Franco Volpi a Arthur Schopenhauer, L’arte di invecchiare, Adelphi, 2006. Tutte le citazioni di Schopenhauer sono tratte da Parerga e Paralipomena, (a cura di Giorgio Colli), tomo I, Adelphi, 1998. L’ultima citazione è invece tratta da una lettera personale di Schpenhauer a Sybille Mertens-Schaaffhausen, 27 novembre 1849, contenuta in Gesammelte Briefe, Bouvier, Bonn, 1978.

La vita. Una partita a dadi o una fortuna da costruire?

"Il trascorrere del tempo non dovrebbe essere quindi considerato in se stesso come il nemico della speranza, poiché la vita è quella che ciascuno di noi si costruisce. La perdita di alcuni, ma certamente non di tutti i nostri attributi socialmente ed economicamente significativi, che comincia ad avvertirsi poco dopo i vent’anni e continua ad un ritmo estremamente graduale fino a quando si superano i settanta o gli ottanta, non conosce alcun episodio di declino improvviso o catastrofico né nelle prime fasi del processo né in quelle più tarde, quanto meno fino all’episodio finale. “Monotonico” è il termine usato per descrivere tale processo: si tratta cioè di un movimento che – qualunque sia l’intervallo, anche minimo, che viene considerato – appare sempre discendente, mai ascendente, e pertanto perfettamente consono a quella che è la più notevole caratteristica della personalità umana, vale a dire la capacità strategica di adattamento nel tempo.

L’età è una sfortuna, né più né meno inevitabile delle altre sfortune della vita che Machiavelli aveva in mente nel suo famoso capitolo del Principe intitolato Quanto possa nelle umane cose la Fortuna, e in che modo se gli possa obstare: “la fortuna è donna” scrive Machiavelli, con la sua caratteristica fallocratica misoginia “ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla”.

Peter Laslett, Una nuova mappa della vita. L’emergere della terza età, Il Mulino Universale Paperbacks 1992
Foto: courtesy of Flickr (http://www.flickr.com/photos/di4b0liko/2181119241/)

Memorylab

il laboratorio della memoria