Dieu me pardonnerai, c'est son metier

"...Perché dopotutto, per quanto minuscolo sia ogni individuo, ogni "essere", lui/lei/esso è un oggetto attraverso il quale la vita si esprime e traccia qualche genere di segno tangibile nel mondo. La maggior parte degli essere umani lascia il proprio patrimonio genetico racchiuso in altri esseri umani, altri nelle cose che hanno costruito, tutti indistintamente nelle cose che hanno costruito, tutti indistintamente nelle cose che hanno fatto: avranno insegnato o torturato, costruito o bombardato, piantato un giardino o abbattuto alberi, e tutto l'ambiente in cui viviamo, le città, la campagna, i deserti - tutto quanto! - è la somma di quei contributi, utili o dannosi, provenienti dall'innumerevole sciame di individui che ci hanno preceduto, e a cui noi stessi aggiungiamo il nostro granello di sabbia. Pensare che la nostra esistenza non abbia senso, una convinzione che certe persone religiose attribuiscono agli atei, sarebbe dunque assurdo: dovremmo invece ricordare che ogni esistenza apporta il proprio contributo, quasi invisibile ma concreto, verso il bene o il male, ed è per questo che andrebbe condotta nel mondo più giusto. E dunque una singola vita è abbastanza interessante da meritare di essere analizzata...
Ciò che muore non è il valore di una vita, bensì il contenitore consumato (o danneggiato) del sé, insieme alla consapevolezza della sua stessa esistenza: scompare nel nulla, è così per tutti. ed è questo che appare tanto sconcertante a un osservatore esterno, perché, tranne quando scivola via durante una fase di incoscienza, una persona prossima alla morte è ancora completamente viva e completamente se stessa. Ricordo di aver pensato, mentre sedevo al capezzale di mia madre: "Ma non è possibile che stia morendo, è ancora tutta qui". Le sue meravigliose parole, che si sono poi rivelate anche le ultime, sono state "E' stato assolutamente divino"... Non c'è dubbio che a tutti piaccia l'idea delle ultime parole, perché riescono ad ammorbidire lo shock... uno dei motivi per cui mi sono rammaricata di non credere in Dio è proprio il fatto che non potrò, in tutta franchezza, citare la frase:"Dieu me pardonnerai, c'est son metier", parole che mi hanno sempre fatto ridere e che, tra l'altro, contengono un meraviglioso buonsenso. Quello che mi piacerebbe dire è: "Va bene così. Non mi importa di non sapere". E per quanto possa sembrare sciocco, confesso di continuare a sperare che l'occasione giusta per quella frase non si affretti troppo a venire.

Tratto da: Da qualche parte verso la fine, pubblicato in Italia da BUR. La scrittrice, Diana Athill, editor tra le più importanti al mondo, ha scritto questo libro a 92 anni

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