La maggior parte degli uomini, Paolino, si lamenta dell’ingenerosità della natura, perché nasciamo destinati a una vita breve e il tempo che ci è concesso trascorre in fretta; così rapidamente che, salvo pochissimi, la vita ci abbandona proprio quando ci apprestiamo a viverla. Di questa presunta sventura non si duole solo il popolino e la gente ignorante; se ne lamentano anche uomini illustri. Viene da qui la famosa massima del più grande dei medici: “Breve è la vita, lunga l’arte”.
Da qui è nata anche l’accusa, certo non degna di un saggio, che Aristotele rivolge alla natura: “Agli animali ha concesso una vita lunga quanto basta per raggiungere la quinta o la decima generazione, mentre all’uomo, nato per compiere molte grandi imprese, ha assegnato un termine assai più breve”. In realtà, non è che di tempo ne abbiamo poco; è che ne sprechiamo tanto. La vita che ci è data è lunga a sufficienza per compiere grandissime imprese, purché sia spesa bene; ma se viene dissipata nel lusso e nell’ignavia, se non la si impiega utilmente, solo quando giungiamo all’inevitabile fine ci rendiamo conto che è trascorsa senza che neppure ce ne accorgessimo.
È così: la vita che abbiamo ricevuto non è affatto breve; siamo noi a renderla tale. Del nostro tempo, non siamo avari, ma prodighi. Come un patrimonio immenso nelle mani di un padrone inetto può svanire in un istante mentre uno più modesto, se affidato a un buon amministratore, col tempo aumenta di valore, così la nostra vita dura a lungo per chi ne sa disporre bene.
Lucio Anneo Seneca, La brevità della vita, All’insegna del pesce d’oro, Milano, 1992
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