La felicità inizia a 50 anni. Provare per credere!

Ansia, preoccupazioni e stress sembrano abbandonare la scena a partire dai 50 anni, lasciando spazio alla saggezza, alla serenità e a un miglior modo di affrontare la vita. A dimostrarlo è stato uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.

“I nostri risultati sono impressionanti”, ha dichiarato l’artefice dello studio Arthur Stone della Stony Brook University di New York. Malgrado l’incremento delle malattie e degli “acciacchi” legata all’età avanzata, le persone al di sopra dei 50 sembrano ignorare i problemi e si dimostrano più ottimisti e ben disposti nei confronti della vita.

Da un’analisi condotta su 340 mila individui di diversa età ed estrazione sociale, Arthur Stone e i colleghi hanno dimostrato che l’emozioni positive e negative variano con il procedere dell’età, anche se le donne mostrano, in genere, livelli più elevati di stress rispetto agli uomini. Emozioni come la rabbia e l’ansia, tuttavia, diminuiscono sostanzialmente a partire dai 50 anni in età in entrambi i sessi, lasciando spazio alla felicità e a un maggiore ottimismo.

Dopo la mezza età, “le persone si focalizzano sulle cose buone della vita come la famiglia e gli amici”, affermano i ricercatori. Il livello di felicità, inoltre, non sembra risentire di variabili come la condizione di lavoro o il fatto di avere o meno dei figli a carico. Ciò che influisce sulle emozioni in questi casi, sostiene Arthur Stone, è il fatto di saper regolare le emozioni e saper osservare il mondo dal lato positivo, riportando alla memoria solo gli eventi piacevoli. E la saggezza, forse, sta proprio in questo.

Fonte ricerca: Stone AA et al. A snapshot of the age distribution of psychological well-being in the United States. PNAS; 17 maggio 2010. doi:10.1073/pnas.1003744107
Fonte articolo: OPS online

Milano è il nuovo regno degli ultrasessantacinquenni .

La popolazione in Provincia di Milano invecchia a un ritmo costante: in particolare gli over 65 in dieci anni, dal 1999 al 2009, sono passati dal 17 al 20,51 per cento. Nel 2020 un abitante su 4 avrà più di 65 anni. E' uno dei dati emersi nella Seconda relazione sociale della Provincia di Milano assessorato alle Politiche sociali che sarà presentata ufficialmente in occasione del convegno "Crescere a Milano Seconda Relazione Sociale della Provincia di Milano" (lunedì 24 maggio). Addirittura a Milano gli over 65 sfondano la soglia del 24 per cento.

Il tasso di natalità (su mille abitanti) è in calo rispetto al trend degli anni precedenti: la media provinciale nel 2009 è del 9,9 contro il 10 del 2008. Tra i paesi più giovani spiccano i Comuni dell'ambito di Paullo (con il 7,03% della popolazione tra gli 0-5 anni), mentre si fanno pochi figli a Milano, con il 5,41% di popolazione 0-5 anni. E sono sempre più "vecchi" i genitori al momento della nascita del primo figlio: 31,8 anni per le donne, 35,4 anni per gli uomini.

Effetto anche della crisi che tende a creare famiglie con un solo figlio. Del resto nel 2009 solo in Provincia di Milano si sono persi 20mila posti di lavoro. E rispetto al 2008 i contratti a tempo indeterminato sono passati dal 31,3% del totale al 21,5, con una contrazione di 10 punti.

Fonte: Virgilio.it

Sesso, felicità e cioccolato non devono mancare, perché...

Sesso, felicità, un po' di cioccolato, un Oscar e un conto in banca mai in rosso sono elisir della longevità. Le persone felici, con una vita sessuale attiva, senza debiti, che non si negano un cioccolatino e un bicchiere di vino, sono decisamente vincenti. Rinunciando alle sigarette possono, in teoria, vivere fino a 114 anni.
A calcolare con precisione quanti anni di vita in più si possono accumulare adottando comportamenti sani sono una serie di studi internazionali, pubblicati dal quotidiano britannico 'The Independent'. Gli scienziati dell'Università di Harvard, ad esempio, hanno monitorato 600 persone per 60 anni, scoprendo sette fattori chiave per capire quanto bene invecchieremo: evitare l'abuso di alcolici, non fumare, avere un matrimonio stabile, fare regolarmente attività fisica, mantenere il peso forma, sviluppare strategie per affrontare lo stress e curare l'istruzione.

"Invecchiare bene non è semplicemente una questione di geni o di destino. Fare scelte sane può aprire la strada a una vita lunga e vitale", hanno detto i ricercatori. In pratica, si tratta di semplici buone abitudini capaci di aumentare la durata della vita di qualche anno. Sommando tutti gli anni in più frutto di tante sane abitudini, si arriva facilmente a 114 anni.

Mangiare cioccolato fondente regala due anni di vita in più, mentre fare tanto sesso fino a 2,5 anni in più.
E ancora: essere religiosi o avere tanti amici prolunga la vita di tre anni, e mangiare pochissima carne ne dà 3,6 in più. Per i maniaci di tuta e scarpe da ginnastica ecco poi una buona notizia: restare attivi, secondo un team di studiosi olandese, ci fa vivere fino a 3,7 anni in più. Mentre quattro anni spetteranno a chi si concede ogni giorno un po' di vino, ricco di sostanze antiossidanti. Altri 4,1 anni vanno a chi può vantare pressione e il colesterolo bassi. Cinque anni, invece, se li aggiudica chi è istruito, ma anche chi gioca a golf. Ben 6,6 anni in più vanno a chi mangia sano, 7 a chi perde peso e altrettanti a chi pensa positivo (per i pessimisti l'effetto è opposto).

Inoltre non fumare regala da otto a dieci anni in più
, altri 10 anni vanno agli uomini che decidono di sposarsi e altrettanti alle persone felici (che oltretutto sembrano meno vulnerabili nei confronti del morbo di Alzheimer). Inoltre chi cambia stile di vita, adottandone uno più sano, guadagnerà 14 anni. Mentre il record di 20 anni in più va alle persone che non hanno debiti e vivono in quartieri ricchi.

Il segreto dei centenari? La pressione bassa.

Uccidendo il presidente americano Franklin Delano Roosevelt, fulminato da un ictus nel 1945 poco dopo la conferenza di Yalta, l'ipertensione ha cambiato i destini del mondo reduce dalla II guerra mondiale. Ma combattere la pressione alta, prima causa di morte nel pianeta, può anche allungare la vita. Lo dimostrano studi condotti sugli ultracentenari: 'supernonni' che vantano "valori di pressione bassissima nell'arco delle 24 ore, con una differenza quasi nulla tra i livelli diurni e quelli notturni". Parola di Giuseppe Mancia, direttore della Clinica medica e del Dipartimento di medicina clinica all'università degli Studi di Milano-Bicocca, intervenuto oggi nel capoluogo lombardo a un incontro promosso da Novartis per il lancio nazionale di un nuovo farmaco contro l'ipertensione.

"Quando Roosevelt morì, il New York Times gridò al 'fulmine a ciel sereno'", ricorda Mancia. "Gli americani si stupirono perché in apparenza il loro presidente stava benissimo, però i documenti ufficiali ci dicono che aveva la pressione alla stelle e già durante il summit di Yalta con Stalin soffriva di encefalopatia ipertensiva". Un aneddoto utile a ricordare come l'ipertensione alta sia un killer silenzioso. Tanto che, su 15 milioni di italiani ipertesi, almeno 3 milioni non sanno di esserlo perché non hanno alcun sintomo. Ma giocare l'anticipo, prevenendo i danni a reni, cuore e cervello prima che si manifestino, è una parola d'ordine.

"Se oggi l'aspettativa di vita media in Italia è pari a 84,1 anni per le donne e a 79,5 anni per gli uomini (ultimi dati Istat), è innanzitutto merito delle terapie contro le malattie cardiovascolari, in primo luogo di quelle contro la pressione alta - sottolinea Massimo Volpe, direttore della Cattedra di cardiologia dell'università La Sapienza di Roma - Dal 1970 a oggi abbiamo guadagnato 7 anni di vita in più, e per il 70% questo traguardo è stato determinato dalle cure contro le patologie cardiovascolari".

Ad aggiungere un'altra tessera nel puzzle dei rapporti tra pressione bassa e longevità è stato poi un recente studio italiano, firmato dal team di Giuseppe Remuzzi dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Bergamo. Gli autori hanno osservato che topi 'Ogm' privi dei recettori per l'angiotensina, sostanza chiave nella cascata di eventi che scatenano la pressione alta, vivono il 30% in più rispetto agli altri. Evidenze ottenute per ora soltanto su questi roditori 'matusalemme' geneticamente modificati per l'occasione, ma che fanno sperare in un futuro più longevo anche per gli uomini.

E soprattutto alla luce del progressivo invecchiamento della popolazione, che "nel 2050 porterà ad avere un numero di 'over 80' pari a un quarto del totale anziani", precisa Mancia, la lente di ingrandimento degli scienziati è puntata proprio sulle pillole antipertensive. Possibili 'elisir di lunga vita', anche se tutto è ancora da dimostrare con indagini ad hoc comunque già avviate.

"La ricerca si sta concentrando sulla terapia antipertensiva negli anziani ultraottantenni - continua lo specialista - e sulla possibilità di prevenire con questi trattamenti" non solo i danni cerebrali, cardiovascolari e renali, ma addirittura la demenza che interessa il 20% degli over 80. "Per esempio - conclude Mancia - uno studio in corso su aliskiren", ingrediente del medicinale presentato oggi a Milano e capofila di nuova classe terapeutica (inibitori diretti della renina), "sta valutando un possibile effetto del farmaco nella prevenzione delle disfunzioni di tipo cognitivo".

Fonte: www.adnkronos.it (adnkronos-salute)

Elogio dell'imperfezione.

Questo articolo, a firma di Bettina Rheims (una fotografa straordinaria, che ha immortalato la bellezza di donne bellissime, vip e non, degli ultimi trent'anni) è pubblicato sullo speciale bellezza del Corriere della Sera).

Aveva poco meno di vent’anni, Monica Bellucci, quando la incontrai per la prima volta. Non era ancora famosa, faceva la modella e la sua carriera di attrice era all’inizio. Mi colpì molto. La sua non era semplice bellezza, era qualcosa di più: Monica era (ed è tuttora) una donna generosa, aperta agli altri. Credo che la bellezza sia questo: vivere al di fuori di se stessi, entrare in comunicazione con l’altro da sé, avere la capacità di darsi. È solo così che un bel volto smette di essere solo un bel volto e diventa qualcosa di universale.

Nella mia lunga carriera di artista ho fotografato centinaia di donne. La bellezza femminile ancora oggi mi incuriosisce proprio per la sua complessità. E ad attrarmi è soprattutto l’imperfezione: è la «mancanza» che ci attira. È la lacuna che ci richiama a sé, lasciando il vuoto necessario affinché entri «l’altro». La bellezza, per esistere, ha bisogno di fantasia. Perciò, a distanza di secoli, la Gioconda continua a far impazzire il mondo. Ecco perché, secondo me, oggi possiamo considerare Kate Moss come massima espressione della bellezza. È una bellezza imperfetta perché viviamo in un mondo imperfetto. O, meglio, difficile: non è facile oggi per i giovani vivere, lavorare, amare. E la bellezza diafana e fragile di questa donna rappresenta il mondo attuale. La fragilità e la complessità: Kate impersona le contraddizioni di cui tutti, oggi, siamo intimamente consapevoli. Trent’anni fa avevamo Catherine Deneuve: elegante, sofisticata, emblema di un mondo più accomodante per i giovani capaci e di belle speranze.

Ma le icone cambiano, i simboli si adeguano. Ci sono donne che riescono ad invecchiare senza risentimento e restano belle per tutta la vita. Altre che, invece, si vedono sfiorire, consumate dalle disillusioni. Credo che amare la vita, continuare ad avere fiducia, ci mantenga belli. L’ambizione a rimanere sempre giovani non ci preserva, anzi, ci erode. Ci sono donne che vivono stagioni di massimo splendore. Ricordo che incontrai Sharon Stone all’epoca di Basic Istinct e, con la consumata esperienza di chi ha fatto della bellezza una professione, posso dire che lei è stata (in quel momento) la donna più bella che io avessi mai visto. Sharon splendeva, letteralmente. Riluceva di un calore impercettibile, che non è solo fascino: è consapevolezza, è intelligenza. È il saper cogliere il momento: in ognuna di noi ci sono delle stagioni propizie. Riconoscerle è un’arte.

Fonte: www.corriere.it/cronache/08_novembre_03/

Gente allegra il ciel l'aiuta (e anche la biologia ;-)

Una ricerca effettuata sul morbo di Alzheimer e sull'invecchiamento durata 15 anni suggerisce che il pensare positivo può tenere lontano la tanto temuta malattia e forse anche allungare la vita.

I risultati dello studio, che ha avuto come protagoniste le suore di un convento, sono stati pubblicati sulla rivista The Journal of Personality and Social Psychology. Che l'espressione di emozioni come la depressione o l'ostilità potessero portare a delle vere e proprie malattie è sempre stato noto. Secondo gli scienziati, uno stato emozionale negativo può avere nel tempo effetti cumulativi sul corpo.

Il professor David Snowdon, dell'Università del Kentucky, ha studiato fin dal 1986 un gruppo di 678 suore che ha accettato di sottoporsi al suo esperimento. Tutte le partecipanti allo studio si sono sottoposte a valutazioni fisiche mentali e, inoltre, hanno deciso di regalare, dopo la morte, il loro cervello al gruppo di ricerca.

Lo studio ha prodotto numerosi risultati, tra cui le prove che un ictus o un trauma cranico possono aumentare le probabilità di un individuo di soffrire di morbo di Alzheimer più tardi nel corso della vita. I risultati più interessanti sono stati ottenuti però studiando le biografie scritte da numerose suore quando avevano poco più di 20 anni.

Gli scienziati hanno trovato per prima cosa che le suore che si erano espresse in modo più complesso hanno poi avuto meno probabilità di mostrare segni di Alzheimer quando sono invecchiate. In questo modo, studiando le funzioni mentali di un individuo giovane dovrebbe essere possibile prevedere con una grande accuratezza le sue probabilità di sviluppare il morbo di Alzheimer. Gli scienziati hanno però studiato le autobiografie anche alla ricerca di parole come “felice”, “gioia”, “amore” e “speranza”. In questo modo, Snowden ha scoperto anche che le suore che hanno espresso le emozioni più positive da giovani hanno poi vissuto in media 10 anni delle altre.

Due italiani su tre non hanno paura di invecchiare. Uno invece vive con tante paure...

Saremo anche una delle nazioni con il maggior numero d’anziani, la pensione sarà diventata il sogno dei pochi lavoratori “regolarmente” stipendiati ma l’arrivo delle rughe, dei capelli bianchi e dei primi acciacchi sono tra i pensieri ricorrenti che angosciano un italiano su tre.
A darci delucidazioni sull’argomento l’indagine condotta da Astra Ricerche, per conto della Bayer, e che ha coinvolto un campione di italiani dai 18 ai 79 anni.
Nel dettaglio, per un quadro specifico, il presidente di Astra Ricerche Finzi ha riferito “Solo il 26% degli intervistati vive benissimo la prospettiva di invecchiare. Anzi ne è felice, sostituendo alla cultura del “purtroppo” (purtroppo non posso più fare questa cosa o quell'altra) alla filosofia del “finalmente” (finalmente ho più tempo per dedicarmi a me stesso, ai miei cari e alle mie passioni.

C’è un 34% di italiani angosciato dall'ansia di diventare vecchio. E addirittura un 9% di connazionali che dichiara di sentire ogni giorno il “ticchettio” del tempo che passa” aggiungendo quali sono, in percentuale, le paure di chi non desidera invecchiare “il 76% di perdere la propria autonomia, il 72% di ammalarsi, il 62% di restare solo (62%), il 74% di non riuscire più a muoversi senza aiuto, il 71% di non ricordare cose importanti, il 70% di non poter più svolgere in autonomia attività come lavarsi, il 69% di uscire, il 64% di bere e mangiare e il 56% di non essere in grado di fare l'amore”.

Se mi fosse dato di rivivere la mia vita...

"Se mi fosse dato di rivivere la mia vita, la prossima volta mi piacerebbe fare più errori. Mi rilasserei. Farei più riscaldamento, prima di correre. Sarei più matta di come sono stata stavolta. Prenderei meno cose sul serio. Coglierei più occasioni: scalerei più montagne, nuoterei in più fiumi. Mangerei più gelati e meno fagioli. Forse avrei più problemi, ma ne avrei meno di immaginari. Vedete, io sono una di quelle persone che ha vissuto in maniera ragionevole e sana, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Certo, ho avuto i miei bei momenti anch’io… e se dovessi ricominciare da capo ne avrei di più. Di fatto cercherei di avere solo quelli: solo momenti, uno dopo l’altro, invece di vivere così tanti anni un giorno dopo l’altro. Sono stata una di quelle persone che non va mai da nessuna parte senza un termometro, una borsa dell’acqua calda, un impermeabile e un paracadute. Se dovessi ricominciare da capo viaggerei più leggera. Se dovessi rivivere la vita di nuovo comincerei ad andare a piedi nudi all’inizio della primavera e smetterei in autunno. Andrei a più feste da ballo. Darei inizio a più girotondi. Coglierei più margherite. Vivrei di più ogni singolo istante."
Nadine Stair a 85 anni

Riportato in: Ram Dass, Cambiamenti. Accettare la vecchiaia e riscoprirne la ricchezza, Corbaccio, 2005

Porca miseria, quanto è bella la vita!

Intervista* di STEFANO CASELLI e DAVIDE VALENTINI ad Andrea Camilleri pubblicata da La Stampa.

Giovane è ormai una categoria dagli incerti contorni anagrafici e dalle fragili coordinate di significato. Nel ventesimo secolo giovane è stato forse chi ha avuto la possibilità di scegliere. La scelta era rivoluzione, molto spesso era errore. Sicuramente collisione. Oggi - dove tutto sembra già essere stato scelto, e anche sbagliato - contro che cosa possono collidere i giovani? Ne parliamo con Andrea Camilleri.

Lei di giovani ne ha visti invecchiare tanti...
Nel ventesimo secolo l’essere giovani comportava una libertà di collisione, il giovane aveva davanti a sé una quantità tale di rotte diverse da intraprendere, che le collisioni erano quasi inevitabili. Oggi la situazione è completamente diversa: la collisione è contro tutta la realtà che circonda un giovane. Collidere è l’unica scelta. Perché la possibilità di non collisione, nella maggior parte dei casi, oggi in Italia, è una possibilità di collusione. Il che altera sensibilmente le prospettive della gioventù, che ne ha pochissime... Cosa vede oggi un giovane? Non la nebbia e la sparizione, vede la scomparsa immediata, come un gioco di prestigio, non ha neanche il tempo di prepararsi, abituarsi psicologicamente alla perdita.

Storicamente si associa l’anzianità alla saggezza, e dunque alla memoria. Invece questo Paese che invecchia la memoria la perde. Perché? L’Italia è un paese di smemorati, non ha mai avuto memoria. Non ha il senso del suo passato. L’autonomia della memoria, per un italiano, è sì e no un mese. Se si tratta di un fatto di cronaca nera, terribile, alimentato dai vari Porta a porta, Matrix eccetera, allora la memoria persiste. Ma perché persiste? Non per il fatto in sé. Ma perché l’italiano si divide immediatamente in innocentista e colpevolista. A priori, semplicemente perché quel presunto colpevole porta i baffi o non li porta. Ha gli occhi azzurri o no. E in Italia rimangono innocentisti o colpevolisti sia che si venga condannati dalla suprema Corte di Cassazione, sia che si venga assolti. Gli italiani hanno solo memoria per le loro squadre di calcio. La vera memoria storica degli italiani è il calcio.

...farebbe bene, Andrea Camilleri, a invecchiare un po’ di più. Ho preso la vecchiaia senza nessuna crisi, sono molto pragmatico. Mi è stato dato un ticket, che si chiama nascita e dentro ci sono alcune camurrie. C’è la cosa bellissima che è la giovinezza, la maturità, poi ci sono anche le malattie, la vecchiaia e la morte. Tutto compreso nel biglietto, come dicono i bravi venditori.

E quindi è inutile ribellarsi, è nel biglietto. è inutile farsi venire l’esaurimento nervoso o la depressione perché non puoi più andare con le ragazze. Non è più cosa. Bisogna trovare altri affetti e altri sfoghi. E ci sono, ve lo assicuro.

Tuttavia veder un po’ nero credo sia doveroso nella vecchiaia. Alfieri diceva “l’umor nero del tramonto”. Non c’è bisogno di arrivare fino a quel punto, ma almeno essere un po’ pessimisti. Io, però, non riesco a esserlo. Accetto la vecchiaia fisica ma non accetto la vecchiaia mentale. Non riesco. Ho una testa malata, di trentenne che dice “Però, porca miseria, quanto è bella la vita. Si può scrivere un nuovo libro”. Forse farei bene a trattenermi un pochino.

Per leggere l'intervista integrale pubblicata da La Stampa cliccare qui

Lavorare stanca? Certo, ma mantiene più giovani...

Un'altra ricerca arriva a dimostrare ciò che, istintivamente, ognuno di noi sa: lavorare stanca, ma mantiene in migliore(e maggiore) salute fisica e mentale. Continuare a lavorare dopo il pensionamento, anche solo mezza giornata o a giorni alterni, sembra avere degli effetti profondamente benefici sullo stato di salute degli anziani. A dimostrarlo è una ricerca apparsa sulla rivista Journal of Occupational Health Psychology.

Da uno studio condotto dall'Università del Maryland su un campione di 12.000 uomini giunti all'età pensionabile è emerso che coloro che continuano a lavorare, anche saltuariamente o con occupazioni leggere, hanno minore rischio di malattie come il diabete, l'ipertensione, le malattie polmonari, l'ictus ischemico, i tumori, l'artrite reumatoide e i disturbi di natura psichiatrica rispetto ai coetanei più attivi.

L'autore dello studio, lo psicologo Mo Wang, ha dichiarato che: “Quando si ha un lavoro, si mantiene un impegno giornaliero, si compie più attività fisica, si aumentano le risorse economiche, si mantengono le relazioni sociali e si ha l'opportunità di apprendere nuove abilità incrementando l'autostima e il senso di identità sociale”. Ma attenzione: è bene controllare lo stress e la tensione. Meglio pertanto proseguire con un'attività che già si conosce e ben si padroneggia: diventa più facile sentirsi a proprio agio e padroni del mestiere.

Fonte: Zhan Y et al. Bridge Employment and Retirees' Health: A Longitudinal Investigation. Journal of Occupational Health Psychology; ottobre 2009.
Fonte: yahoo.salute
Foto: http://www.flickr.com/photos/isayx3/3748835100/

Chi è l'anziano, oggi?

Arrigo Levi, nel suo libro “La vecchiaia può attendere”, ha dato una definizione interessante. Ha descritto gli anziani come “

alieni arrivati non da un altro pianeta, ma usciti dalle pagine di una storia nuova che si sta appena scrivendo
”.

Buona scrittura a tutti!

Memorylab

il laboratorio della memoria