Non siamo un paese per vecchi.

Dovremmo essere il paese dell'eccellenza in fatto di ricerca sull'invecchiamento, non fosse altro per quel 30 per cento di capitale sociale costituito dai nostri ultrasessantenni per i quali l'attuale attesa media di vita ha battuto ogni altro paese d'Europa con i 77-78 anni per i maschi e gli 83-84 per le femmine. Invece no. La ricerca italiana sulla terza età, "on ageing" come dicono gli anglosassoni, langue. Peggio.

Se ne fa, ma è frammentata, disorganizzata, persa in centinaia di rivoli sovrapposti e dispendiosi, i risultati sono pubblicati tardivamente, per niente o solo a livello nazionale. Non per scarsa attitudine dei ricercatori, apprezzati e contesi a livello internazionale, né per mancanza di preparazione dei geriatri, sono ben 34 le scuole di specializzazione sebbene ogni anno sfornino poche decine di specialisti, quanto piuttosto per incuria dei decisori politici.

"Non c'è un Piano nazionale come accade invece in Austria, Germania, Olanda, Francia, persino Spagna, Gran Bretagna, soffriamo di un'arretratezza culturale secolare riguardo l'invecchiamento, e se qualcosa si è iniziato a fare nell'ultimo ventennio dobbiamo dire grazie alla sensibilità e capacità del professor Luigi Amaducci che già dagli anni Ottanta portò all'attenzione di tutti il fenomeno vecchiaia e la malattia più devastante sul piano personale e sociale ad essa correlata, la demenza di Alzheimer", afferma Orazio Zanetti, geriatra all'IRCCS San Giovanni di Dio-Fatebenefratelli di Brescia.

Più severo il giudizio di Luigi Ferrucci, emigrato da tempo negli Stati Uniti e attualmente direttore al National Institute on Aging (NIA) del "Baltimore Longitudinal Study of Aging": "Oltre al problema culturale, la ricerca italiana non è meritocratica, non è orientata dai risultati né dai presupposti, esiste protezionismo nei confronti delle Università e degli Istituti di ricerca e cura a carattere scientifico (Irccs), manca una qualunque strategia amministrativa. In altri paesi la ricerca è fattibile solo dove c'è eccellenza, creatività e innovazione. Negli Stati Uniti chi ha un'idea fa una richiesta di finanziamento, l'approvazione dipende dalla qualità e originalità della proposta e di chi fa la proposta".
In Italia, oltre alla mancanza di un Piano nazionale sull'invecchiamento, si aggiungono cronici problemi economici e organizzativi e i ricercatori fanno fatica a capire "chi deve fare cosa".

I finanziamenti sono limitati in generale, basti dire che il Settimo Programma Quadro (FP7) della Comunità Europea non ha tra le priorità l'invecchiamento. I soldi arrivano dall'Ufficio 12 della Comunità europea che li distribuisce ad ogni paese in base alla competitività, quindi scarsissimi per l'Italia, mentre a livello nazionale dovrebbero provvedere il ministero dell'Istruzione e della Ricerca (MIUR) e il ministero della Salute.
Sul fronte privato ci sarebbero le charity da noi poco sfruttate. Autorizzati a partecipare ai bandi per la ricerca finalizzata e ad ottenere fondi sono l'Istituto superiore di sanità, gli Irccs, l'Inrca che si occupa di invecchiamento, l'Ispesl, gli Istituti zooprofilattici, le Regioni, le Provincie; per la ricerca corrente solo gli Irccs. La situazione però è più complessa.

I dati italiani di "ERA-AGE, progetto voluto dalla Commissione europea per realizzare una sorta di censimento della ricerca sull'invecchiamento in Europa, rivelano un ginepraio. "Il MIUR ha messo a disposizione fondi fino al 1998 (Progetto finalizzato invecchiamento del Cnr, 213 progetti, 26 milioni di euro)", spiega Claudia Gandin, medico ricercatore dell'Iss e coordinatore nazionale Era-Age, "dopo, fino al 2007 la ricerca finalizzata e corrente è stata finanziata dal Ministero della salute (tra gli altri nel 2000 finanzia il Progetto finalizzato Alzheimer, tre anni, 78 progetti, 45 milioni di euro), naturalmente entrambi le istituzioni hanno finanziato in base agli obiettivi target del Piano sanitario nazionale e l'invecchiamento non è tra le priorità".

Per fortuna in questo paese i centenari aumentano spontaneamente e tra di loro che chi, come il premio Nobel Montalcini può permettersi di dire: "Il corpo faccia quel che vuole, io sono la mente".

Fonte: http://www.repubblica.it/

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