Qualcuno vi ha mai chiesto di essere saggi, ora che potreste esserlo?

Giovani o vecchi che si sia al momento, finché non ci consideriamo parte della continuità della vita continueremo a considerare la vecchiaia come una cosa separata dalla corrente centrale della cultura e i vecchi come altri, in un certo senso. In una cultura non tradizionale com’è la nostra, dominata dalla tecnologia, si dà molto più valore all’informazione che non alla saggezza. Tra le due, però, c’è una differenza: l’informazione implica l’acquisizione, l’organizzazione e la distribuzione capillare dei fatti, è un immagazzinamento di dati fisici. La saggezza, invece, coinvolge un’altra funzione, altrettanto essenziale: lo svuotamento e l’acquietamento della mente, l’applicazione del cuore, la mistura alchemica di ragione e sentimento. Nella modalità “saggezza” noi non elaboriamo informazioni in maniera analitica o sequenziale: ci teniamo un passo indietro e abbiamo una visione d’insieme, distinguendo ciò che conta da ciò che non conta, soppesando il significato e la profondità delle cose. La dote della saggezza è rara, nella nostra cultura: vi si trovano più spesso persone di conoscenza che fingono di essere sagge, ma che, sfortunatamente, non hanno coltivato la qualità della mente da cui nasce davvero la saggezza.

… In una cultura in cui l’informazione è più apprezzata della saggezza, comunque, gli anziani diventano obsoleti come i computer di ieri. Il vero tesoro invece viene ignorato: la saggezza è una delle poche cose nella vita umana che non diminuisce con l’età. Tutto il resto cade via, solo la saggezza aumenta fino alla morte, se viviamo con lucidità e capacità di osservazione e ci apriamo alle molte lezioni della vita. Nelle culture tradizionali che sono rimaste immutate generazione dopo generazione il valore del “vecchio saggio” si rintraccia facilmente; in una cultura come la nostra, invece, la saggezza è ben lontana dall’essere eccitante o attraente – o necessaria – come lo è navigare in Internet. Sentiamo il dover continuare a correre se vogliamo rimanere aggiornati, imparare l’ultima versione di Windows o provare quel nuovo macchinario in palestra. Sul mio computer tenevo un adesivo che diceva: “I cani vecchi possono imparare nuovi trucchi” ma ultimamente alle volte mi chiedo: quanti nuovi trucchi voglio imparare? Quanti di quei maledetti manuali voglio ancora leggere, in questa vita? Non sarebbe più facile semplicemente essere sorpassati?

Ram Dass, Cambiamenti. Accettare la vecchiaia e riscoprirne la ricchezza, Corbaccio, 2005
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Proverbio africano.

Le vecchie pentole
fanno la salsa più buona.

Cosa deve augurarsi un uomo? Né grandezza né felicità, bensì…

Da molto tempo abbiamo dimenticato quasi tutto ciò che i grandi maestri dell’umanità hanno scoperto e insegnato. Hanno insegnato tutti la stessa cosa, da millenni, e ogni teologo o anche ogni uomo di cultura ce la potrebbe dire con parole chiare, che sia incline più verso Socrate o verso Lao Tzu, più verso il Buddha che sorride senza dolore, o verso il Redentore con la corona di spine.

Tutti loro, e in generale ogni sapiente, ogni risvegliato e illuminato, ogni vero conoscitore e maestro dell’umanità, ogni vero conoscitore e maestro dell’umanità ha imparato la stessa cosa, e cioè che l’uomo non deve augurarsi grandezza né felicità, né l’eroismo né la dolcezza della pace, che non deve augurarsi assolutamente niente, nient’altro che sensi puri e vigili, un cuore forte e la fedeltà e l’intelligenza della pazienza, e di saper sopportare con essi la felicità come il dolore, il rumore come il silenzio.


Da: Ansprache in der ersten Stunde des Jahres 1946, Gesammelte Werke vol X, pp 541 ss. Riportato in: Hermann Hesse, La felicità. Versi e pensieri, Oscar Mondadori, 2002
Foto: courtesy of Flickr (http://www.flickr.com/photos/deniscollette/541299099/)

L'ombra.


Mai,
non saprete mai
come m’illumina
l’ombra
che mi si pone di lato,
timida,
quando non spero
più…


Giuseppe Ungaretti
Giorno per giorno


Foto: courtesy of Flickr (http://www.flickr.com/photos/neighya/460039535/)

L’adolescente onnipotente ed eroico è ancora il nostro piccolo padrone.

"Attorno ai trentacinque - quarant’anni un uomo o una donna valutano se si sono realizzati gli obiettivi affettivi, familiari e professionali…
Se si tengono presenti le problematiche legate al lavoro, il soggetto si domanda, soprattutto a partire da quell’età, se ha realizzato i suoi obiettivi, le sue ambizioni, i suoi ideali, se ha fatto il mestiere che voleva e al livello che gli interessava…
Ma durante questo periodo bisogna distinguere più tappe temporali importanti; c’è per esempio il momento che si può considerare la vera mezza età, verso i trentacinque e quaranta anni, e un’età un po’ più avanzata fra i cinquanta e i cinquantacinque…
Una donna ad esempio che si è dedicata a far nascere e crescere i figli, a costruire il suo ménage domestico e che si ritrova a quarantacinque-cinquanta anni con i figli cresciuti… è un problema anche sociale: si tratta di vedere se può trovare anche altri investimenti. Una crisi di investimento analoga a quanto capita agli uomini al raggiungimento dell’età della pensione. Molti uomini entrano in crisi nel momento in cui vanno in pensione; l’hanno desiderata a lungo, tutta la vita vi hanno pensato: “Quando sarò in pensione farò questo e quello!”. Nel frattempo lavorano, lavorano, lavorano e il giorno del pensionamento c’è una rottura degli investimenti, un’estrema difficoltà ad organizzarsi su un tenore di vita differente, a investire su altre attività, e spesso dei veri e propri scompensi…
Che cosa si tratta di accettare? Il fatto che si invecchia, che non si è immortali, perché la maggior parte di noi cerca di difendersi dall’idea della morte… e la consapevolezza – questo è importante – che gli ideali, gli obiettivi, le aspirazioni del’infanzia e dell’adolescenza non sono state raggiunte. In fondo la crisi della maturità non è che la conclusione della crisi dell’adolescenza. L’adolescente onnipotente ed eroico – tutti abbiamo avuto questi fantasmi – non muore che a quaranta, quarantacinque, cinquanta anni".

P.C. Racamier e S. Taccani, Il lavoro incerto, ovvero la psicodinamica del processo di crisi, Tirrenia, Ed. del Cerro, 1986

La visione di un uomo non impresta le sue ali a un altro uomo.

E un maestro domandò: Parlaci dell’Insegnamento.
Ed egli disse: Nessuno può insegnarvi nulla, se non ciò che in dormiveglia giace nell’alba della vostra conoscenza.
Il maestro che cammina all’ombra del tempio, tra i discepoli, non dà la sua scienza, ma il suo amore e la sua fede.


E se egli è saggio non vi invita a entrare nella casa della sua scienza, ma vi conduce alla soglia della vostra mente.
L’astronomo può dirvi ciò che sa degli spazi, ma non può darvi la propria conoscenza.
Il musico vi canterà la melodia che è nell’aria, ma non può darvi il suono fissato nell’orecchio, né l’eco nella voce.
E il matematico potrà descrivervi regioni di pesi e di misure, ma colà non vi potrà guidare.

Giacché la visione di un uomo non impresta le sue ali a un altro uomo.
E come Dio vi conosce da soli, così tra voi ognuno deve essere solo a conoscere Dio, e da solo comprenderà la terra.


Gibral Kahlil Gibran, Il Profeta, Ugo Guanda Editore, 1981
Foto: courtesy of Flicr (http://www.flickr.com/photos/input/148075370/)

YouTube - Le Città Invisibili di Italo Calvino

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I fiori sono stupendi. La magia dell'haiku.

Waga toshi no
Yoru to wa shirazu
Hana zakari.


I fiori sono stupendi,
E ignorano
Che sono vecchia.


Chigestu (poetessa e pittrice, non sono conosciute le date di nascita e morte)


Furusato ya
Chiisai ga ore ga
Natsu kodachi.


Il mio paese:
benché sia piccolo,
i boschi sono miei.


Issa (1762-1826)


Due parole sull'haiku, una forma di poesia giapponese che ne racchiude lo spirito e la magia. La semplicità della sua struttura riproduce infatti le componenti tipiche della mentalità nipponica. La struttura dell’haiku è di 17 sillabe (5/7/5) ed è frutto di due componenti apparentemente inconciliabili: improvvisazione e aderenza allo schema. L’autore di haiku si interessa alle cose naturali, prossime ordinarie e abituali, i piccoli momenti del quotidiano. Ogni cosa deve essere inquadrata nella catena relazionale che la unisce alle altre. L’haiku non sintetizza una marea di impressioni, ma traduce un momento e una impressione, nell’immediatezza dell’attimo. Come nella pittura ad inchiostro, sumie, l’altra grande arte giapponese, l’economia di tratti è essenziale: l’artista non deve riempire lo spazio, ma valorizzare il vuoto, cioè indagare gli interstizi tra le cose. È una lezione del Buddhismo: non sono le cose (o i singoli eventi, le persone, le vite individuali) ad essere importanti, bensì lo sfondo in cui si inscrivono, il vuoto intorno.

Foto: courtesy of Flickr (http://www.flickr.com/photos/sundin13/1680731033/)

Storia cinese

Un uomo anziano è troppo debole per lavorare nell’orto o per collaborare all’andamento della casa. Si limita a starsene seduto sotto il portico a guardare i campi mentre suo figlio zappa la terra ed estirpa le erbacce.
Un giorno il figlio alza lo sguardo su di lui e pensa: “A che cosa serve, ora che è così vecchio? Non fa che mangiare a ufo. Io ho moglie e figli da mantenere: è ora che la pianti di vivere, quello lì”.
Così prepara una grande cassa di legno, la sistema su una carriola, la porta davanti al portico e dice al vecchio: “Padre, entra qui dentro”.
Il padre si sdraia nella cassa, il figlio ci mette su il coperchio e poi la porta verso la rupe. Arrivato al bordo del burrone il figlio sente bussare da dentro la cassa. “Sì, padre?” chiede. Il padre risponde: “Perché non ti limiti a buttarmi dalla rupe e ti tieni la cassa? Un giorno i tuoi figli ne avranno bisogno!”.

Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità.

"Meneceo,

mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’animo nostro.
Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l’età. Ecco che da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l’avvenire.

(…) Il vero saggio, come non gli dispiace vivere, così non teme di non vivere più. La vita per lui non è un male, né è un male il non vivere. Ma come dei cibi sceglie i migliori, non la quantità, così non è il tempo più lungo si gode, ma il più dolce".

Da: Epicuro, Lettera sulla felicità (a Meneceo), Stampa Alternativa 1992

Il guardiano di greggi

Sono un guardiano di greggi.
Il gregge è i miei pensieri
E i miei pensieri sono tutti sensazioni.
Penso con gli occhi e con gli orecchi
E con le mani e con i piedi
E con il naso e la bocca.

Pensare un fiore è vederlo e odorarlo
E mangiare un frutto è sentirne il sapore.

Per questo quando in un giorno di calore
Mi sento triste di goderlo tanto,
E mi stendo completamente sull’erba,
E chiudo gli occhi caldi,
Sento tutto il mio corpo disteso sulla realtà,
So la verità e son felice.

Fernardo Pessoa, Poesie, Passigli Editore 1993

Siete buoni quando non siete che voi stessi.

"E un anziano della città domandò: Parlaci del Bene e del Male.
Ed egli rispose:
Io posso parlare del vostro bene, ma non del vostro male.
Poiché il cattivo non è che il buono torturato dalla sua fame e la sua sete.
In verità, il buono affamato può cercare il cibo in una caverna oscura, e assetato può bere un’acqua morta.

Siete buoni quando non siete che voi stessi.
Ma anche se non siete un’unica cosa con voi stessi, voi non siete cattivi.
Poiché una casa divisa non è un covo di ladri; è solo una casa divisa.
E una nave privata del timone può errare all’infinito tra isole rischiose senza fare naufragio.
Siete buoni nello sforzo di dare voi stessi,
Ma non siete cattivi nel guadagnare per voi.
Poiché, guadagnando, non siete che una radice avvinghiatasi alla terra per succhiarne il seno.
Certo, il frutto non potrà dire alla radice, “Sii come me, maturo e pieno, nella mia facile abbondanza”.
Poiché, come il frutto ha bisogno di dare, così la radice ha bisogno di ricevere.

Siete buoni quando la vostra parola è cosciente,
Ma non siete cattivi nel sonno quando la vostra lingua vaneggia.
Anche un discorso confuso rinforza una debole lingua.
Siete buoni quando v’incamminate alla meta, tenaci e con piede sicuro.
Ma non siete cattivi se vi andate zoppicando.
Anche gli zoppi non tornano indietro.
Ma voi, che siete agili e forti, non assecondate lo zoppo, stimandovi cortesi.

Voi siete buoni diversamente, e non siete cattivi quando non siete buoni,
siete soltanto svogliati e pigri.

Peccato che può il cervo insegnare alla tartaruga a essere veloce.

Un gigante è chiuso in voi; e nel volerlo sta la vostra bontà; e questa è in tutti gli uomini.
In alcuni è un torrente che scende a precipizio verso il mare, sradicando segreti alle montagne e canzoni alle foreste.
E in altri è una corrente calma che curva divagando e langue prima di sfociare ai lidi.
Ma chi desidera molto non dica a chi desidera poco, “Perché tu esiti e indugi?”
Poi che il buono in verità non chiede a chi è nudo, “Dov’è il tuo vestito?”. E a chi è senza tetto, “E la tua casa?”.

Gibral Kahlil Gibran, Il Profeta, Ugo Guanda Editore, 1981
Foto: courtsy of Flickr (http://www.flickr.com/photos/bacillus/353725304/)

Invecchiare è inevitabile? E’ una menzogna

“Ognuno di noi può vivere a lungo in perfetta forma e vitalità. Noi siamo antichi ed eterni … Andiamo e veniamo in numerose forme, la nostra essenza non è il corpo.” A sostenerlo è Deepak Chopra, famosissimo paladino della medicina ayurvedica che da anni si fa testimone della saggezza di questa millenaria filosofia indiana.

Questo, per Chopra, non significa che dobbiamo curare la nostra anima e maturare la saggezza che ci aiuti a sopportare il decadimento del corpo. Al contrario. La filosofia indiana è cresciuta lontana dalla cartesiana (e tipicamente se non esclusivamente occidentale) tendenza a vedere come separati mente e corpo. Mente e corpo sono un tutt’uno. Certo, anima e spirito non muoiono e non invecchiano, mentre il corpo lo fa. Ma in realtà, ciò che invecchia non è il corpo, bensì la nostra energia. Può sembrare uno spostamento da poco, ma in realtà può cambiare il nostro modo di vivere, soprattutto l’età.

Nel suo libro Mente giovane corpo intelligente, Chopra sostiene che vi sono svariate età a cui siamo soggetti: l’età biologica, quella psicologica, quella cronologica. E’ un concetto che è stato mutuato, nella medicina occidentale, soprattutto dalla branca che si interessa di psico-neuro-immunologia (PNEI), di cui peraltro Chopra è un esponente. Scomporre le età della persona, significa attribuire ad ognuna un ruolo e alla persona il potere di gestire senza subirle. Un esempio? Ognuno di noi, per Chopra, può mostrare 10-15 anni meno di quelli che cronologicamente ha. Senza lifting, punturine, intrugli magici o chimici. L’età è un a persita di energia, ma è anche soprattutto un concetto, che abbiamo imparato e che quindi possiamo disimparare. Cosa significa avere 60 anni? Essere de-cadenti, ormai sulla via della senescenza, stomaco in espansione e palpebre in caduta libera? Sarete quello. Ma sappiate che è una vostra scelta (e del vostro corpo, in quanto voi lo avrete guidato a quel punto).

Se desiderate, Chopra può insegnarvi ad avere 60 anni ma a mostrarne 45 o 50. Bisogna lavorare, certo, ma può valerne la pena. Nel suoi libri (soprattutto in quello citato), il segreto o meglio la ricetta per riuscirci. In breve, richiede applicazione (nulla di serio si ottiene senza fatica, diceva un vecchio saggio), fiducia, un lavoro di riprogrammazione del proprio pensiero e, in parte, di riorganizzazione della propria vita (esercizio ed alimentazione sono dei must, bisogna convincersene).

Rallentare il processo di invecchiamento e dimostrare 15 anni in meno è, innanzitutto, una sfida della mente. In primo luogo, dobbiamo cambiare la nostra percezione di chi siamo
Deepak ci dice come: “Chiudete gli occhi. Diventate consapevoli del vostro respiro, lasciando andare qualunque tensione possiate aver accumulato nel corpo. Scegliete ora l’età, compresa nell’arco degli ultimi 15 anni, che vorreste avere a livello biologico. Questo significa possedere le capacità fisiche e mentali di una persona di quell’età in buone condizioni fisiche, apparire e sentirsi come a quell’età”. Questo diventa quello che Deepak chiama Biostat, ovvero età biologica. “Come un termostato regola la temperatura di una stanza a un livello definito, allo stesso modo il vostro Biostat influenza direttamente il vostro corpo di energia, trasformazione e intelligenza. Mantenendo il vostro Biostat all’interno della vostra consapevolezza, potete influenzare il vostro modo di pensare, il vostro umore e il vostro comportamento. Dopo avere individuato tale punto, affermatelo 5 volte al giorno. Vi suggerisco di eseguire questo rituale al risveglio, prima di colazione, del pranzo, della cena e dell’ora di andare a dormire.
Chiudete gli occhi e ripetete almeno 3 volte mentalmente ognuna delle seguenti frasi:

“Ogni giorno io aumento in ogni modo le mie capacità fisiche e mentali”.
“Il mio Biostat è fissato all’età di … (tot) anni”.
“Io appaio e mi sento come un … (tot) enne in ottima forma”.

Alcuni giorni dopo aver iniziato a eseguire questo rituale comincerete a pensare e a comportarvi al livello del vostro Biostat. Tutte le vostre abitudini verranno influenzate, e soprattutto si modificheranno la vostra percezione e il modo di sperimentare la vostra età biologica. Credete nel vostro Biostat e nel suo potere organizzativo e questa nuova credenza darà forma alla vostra nuova biologia”.

Cambiare il nostro modo di pensare all’età e al tempo è il primo passo. Ugualmente importanti sono i comportamenti che dobbiamo attuare. È importante avere un riposo tranquillo, una alimentazione sana, esercizio fisico, meditazione o esercizi di rilassamento quotidiano oppure yoga, amare, porsi sempre nuove sfide e mettersi in gioco ogni giorno.

Chi si sente perduto e finito, spesso lo è. Ma ha creato la propria fine. “La chiave di tutto è credere in se stessi” sostiene Chopra: è questa la molla che ci consentirà di restare giovani per sempre.

Cos'è davvero la crisi?


Nella grafia cinese,
la parola crisi è composta da due caratteri.
Uno è il simbolo del pericolo.
L’altro è il simbolo dell’opportunità.


John F. Kennedy

10 modi divertenti per vivere a lungo

Il New York Times ha pubblicato, un po' di tempo fa, un bell’articolo dedicato ai 10 modi divertenti per vivere a lungo. L’articolo, a firma del dott. Mark Stibich, Ph.D., è stato inserito nella sezione longevità del prestigioso quotidiano. Niente saggezza orientale, a dimostrazione che – in fondo – anche nella nostra cultura possiamo trovare validi aiuti per aggiungere vita agli anni e non solo anni alla vita.
Ecco l’elenco. Buon lavoro agli arditi che si sperimenteranno ;-)
1. beviamo vino rosso: contiene un antiossidante (il resveratrol), che protegge il nostro corpo in maniera naturale dall’invecchiamento. Uno o due bicchieri al giorno di vino rosso possono aiutare il nostro corpo a rimanere più giovane. Ottimo inizio!
2. mangiamo cioccolato fondente: la cioccolata “nera” è un alimento straordinario, che contiene tanti antiossidanti. Mangiarne tutti i giorni è un modo per contribuire all’abbassamento della pressione arteriosa e del colesterolo, oltre ad essere una buona fonte di energia e favorire la produzione di endorfine, che lavorano contro tristezza e depressione.
3. Sorridiamo: è il modo più facile e veloce per cambiare il nostro approccio, per entrare in empatia con gli altri e per dare beneficio al nostro corpo (ed esercitare i muscoli facciali). Al pari del rilassamento, il sorriso contrasta lo stress. Inoltre, per un curioso fenomeno che già nel 1890 William James aveva descritto, spesso noi siamo felici perché ridiamo (o diventiamo tristi perché piangiamo).
4. Facciamo più sesso: il sesso e le carezze sono una parte imprescindibile della salute umana. Durante il sesso, vengono sprigionate nel corpo sostanze chimiche altamente benefiche. Le carezze e il sesso inoltre sono un modo per rimanere più in contatto con gli altri ed aumenta la nostra autostima. Inoltre, il sesso prolunga la vita.
5. Rilassiamoci: contrastiamo lo stress, molto dannoso per la salute. Se riusciamo a far diventare una tecnica di rilassamento o di meditazione una abitudine quotidiana della nsotra vita, migliorerà la nostra pressione, il cuore si regolarizza, aumentano l’autostima, l’energia e la capacità di affrontare le piccole grandi sfide della vita.
6. Facciamo attività fisica: mantengono il corpo tonico, flessibile, forte e resistente. Iniziare nuovi sport o attività, meglio se di gruppo, ci permette di maturare nuove esperienze e di allargare la nostra cerchia di conoscenze. Viviamo l’esercizio come un gioco divertente.
7. Dormiamo: è una funzione essenziale per il corpo. Ne avranno beneficio il nostro sistema immunitario, il nostro livello energetico, il nostro buon umore.
8. Passiamo più tempo con i nostri cari, amici e familiari. Le relazioni sono importanti, per il cuore, per l’anima e per la mente. Allontanano gli spettri della solitudine, della depressione e della malattia mentale, migliorano la salute e la qualità di vita.
9. Esercitiamo la testa: facciamo giochi di qualsiasi tipo, dai puzzle ai cruciverba al sudoku, meglio se alternati, oppure anche scacchi, carte e giochi di società. Manteniamo attivo il cervello.
10. Pensiamo positivo, anche al nostro invecchiamento. Basta questo per aggiungere anni alla vita e vita agli anni. Smettiamola di glorificare la giovinezza e di piangere su ogni giorno che passa. La maturità può aggiungere sapore alla vita, perché abbiamo una grandissima risorse di esperienze e di conoscenze da tessere per costruire uno splendido arazzo.

Foto: courtesy of Flickr (http://www.flickr.com/photos/robbith/2205188944/)
Per vedere la versione originale: http://longevity.about.com/od/longevity101/tp/fun_ways.htm

Nessuno può vivere a lungo se non è capace di immaginarlo.

"La vitalità nell’età avanzata dipende da tre fattori: robustezza di costituzione, salute fisica e tipo di copione. L’inizio della vecchiaia è determinato proprio da questi tre fattori. Perciò alcune persone sono ancora vitali a ottant’anni e altre cominciano a vegetare a quaranta. La robustezza di costituzione è un fattore fisso, che non può essere modificato dalla programmazione parentale. Anche l’infermità fisica costituisce a volte un fattore fisso e, a volte, rappresenta anche il tornaconto di un copione. ..Può darsi che le persone più anziane accolgano con gioia un infarto, o un’occlusione delle coronarie, ma questo per un motivo diverso: non perché faccia parte del copione, ma perché le solleva dallo sforzo di tirare avanti una vita di sforzi, quella prevista dal loro copione. Il Bambino presente in loro assume queste disgrazie come se si trattasse di una “gamba di legno”, il che consente loro di dire al Genitore che si portano dentro: “Neanche tu puoi aspettarti che un uomo con una gamba di legno continui a trascinare il peso della tua maledizione stregata”. E, trovandosi di fronte al rischio di un embolo al cervello o al cuore, solo il genitore più crudele e spietato non si darebbe per vinto.
… Anche le persone con una costituzione fisica robusta e senza invalidità fisiche (o di poco conto o ipocondriache) possono iniziare a vegetare molto presto se possiedono dei copioni del tipo “non si sa come andrà a finire”. Si tratta di solito di persone che vivono della sola pensione. L’insegnamento in questi casi è: “Lavora sodo e non fermarti mai!” e la conclusione è: “Dopo di che smetti!”. Jeder dopo aver lavorato indefessamente per venti o trent’anni, dopo aver ricevuto la visita di Babbo Natale, e aver ottenuto il pranzo d’addio con i colleghi, con tanto di orologio d’oro, non sa più che fare. È abituato a scegliere le direttive del suo copione, ma ora le ha esaurite, e non ha nessun’altra programmazione. È perciò contento di starsene seduto aspettando che succeda qualcosa: magari la morte!
Questo fa sorgere una domanda interessante. Che fare dopo che è arrivato Babbo Natale? Per chi ha un copione del tipo “Finché” il dono ha portato termine le richieste del copione, è quindi libero dalle maledizioni dell’anticopione, ora ha la possibilità di fare ciò che fin da ragazzino ha sempre sognato di fare. Ma proseguendo, sulla sua strada, corre moltissimi rischi, come ci confermano molti miti greci. Se è vero che si è liberato dal genitore malefico, è anche vero che è rimasto privo di protezione, è quindi facile che vada incontro a dei guai. Anche questa è una cosa che ritroviamo nelle favole. Una maledizione, bene o male, protegge anche se è fonte di sofferenze e fatiche”.

La frase del titolo è di George Abraham
Da. Eric Berne, “Ciao!”…e poi?. La psicologia del destino umano, Bompiani, 2003

Essere o non essere, questo è il dilemma?

L’antico problema dell’essere o del non essere non lascia spazio per i compromessi.
Perché si è o non si è.


Golda Meir

“Gli dèi ci creano tante sorprese: l’atteso non si compie, e all’inatteso un dio apre la via”.

La frase del titolo è di Euripide e noi, ancora oggi, non abbiamo incorporato il suo messaggio: attendersi l’inatteso.

Come scrive Morin nel suo bel libro sui saperi necessari per il futuro, "La fine del XX secolo è stata tuttavia propizia, per comprendere l’irrimediabile incertezza della storia umana. I secoli precedenti hanno sempre creduto in un futuro o ripetitivo o progressivo. Il XX secolo ha scoperto la perdita del futuro, cioè la sua imprevedibilità. Questa presa di coscienza deve essere accompagnata da un’altra, retroattiva e correlativa: quella secondo cui la storia umana è stata e rimane un’avventura ignota. Una grande conquista dell’intelligenza sarà, infine, quella di potersi sbarazzare dell’illusione di predire il destino umano.

L’avvenire resta aperto e imprevedibile. Certo, esistono determinazioni economiche, sociologiche ed altre ancora nel corso della storia, ma sono in relazione instabile e incerta con innumerevoli casi ed eventi che fanno deviare e sviare il suo corso".


Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Cortina, 2001

Caos ed impredibilità. Come inserire il divenire della coscienza in uno stile di vita.

Sia Thomas Jefferson che Mao Tse Tung ritenevano che ogni generazione dovesse fare la sua rivoluzione, in modo che i suoi membri restassero attivamente coinvolti nel sistema politico che governava le loro vite.
Le culture sono costruite come difese contro il caos e hanno lo scopo di diminuire l’influenza del caso sull’esperienza. Prescrivono norme, sviluppano fini, costruiscono credenze che ci aiutano ad affrontare le sfide dell’esistenza. Poche sono le culture che hanno saputo inserire il divenire della coscienza in uno stile di vita. Ci è riuscita una popolazione indiana descritta da un etnografo canadese, Richard Kool. Viveva nella regione dello Shushwap (British Columbia), un’area particolarmente generosa: ricca di salmoni e di selvaggina, ricca di risorse alimentari del sottosuolo come tuberi e radici: una terra dell’abbondanza. In questa regione gli abitanti vivevano in villaggi stanziali e sfruttavano i dintorni per le risorse necessarie. Avevano delle tecnologie raffinate per usare con molta efficacia le risorse dell’ambiente e vivevano la loro esistenza come buona e ricca. Eppure, secondo gli anziani, a volte, il mondo diventava troppo prevedibile e la vita cominciava ad essere poco stimolante. Senza sfide la vita non ha significato.
Allora gli anziani, nella loro saggezza, decidevano che tutto il villaggio si doveva spostare e questi spostamenti si facevano ogni 25-30 anni. Tutti gli abitanti si trasferivano in qualche altra zona della terra dello Shushwap e là ritrovavano le sfide. C’erano nuovi corsi d’acqua da esplorare, nuove piste della selvaggina da scoprire, nuove zone dove la radice del balsamo era abbondante. Così la vita riacquistava il suo significato e valeva la pena di viverla. Tutti si sentivano ringiovaniti e sani. Per inciso, così si permetteva alle risorse di una zona sfruttata di riformarsi dopo anni di raccolta…
Quando accettano il caos e il disordine della vita (e non si limitano a deprecarlo o ad essere convinti di dominarlo), gli anziani hanno una grande saggezza e un ruolo essenziale per le culture.

L’umanità è giovanissima: la sua memoria corta.

Sicché si può sempre ipotizzare che le leggi fisiche conosciute non siano altro che sintesi di osservazioni non sufficientemente approfondite, e che questa umanità (sapiente) è esistita fino ad ora solo nell’arco di due manifestazioni di leggi prodigiose e discontinue, di due balzi dell’ordine del mondo. Ma un uomo che osserva un orologio dall’ora e 5 all’ora e 55 non sa che suona le ore, non può intuirlo. Non è impossibile che alcuni fatti inspiegabili, come la comparsa della vita sulla terra, siano gli effetti di legge discontinue – di cui non abbiamo ancora avuto il tempo di osservare gli stati successivi.

Ammettiamo per un momento l’ipotesi dell’evoluzione. Un osservatore dell’epoca delle ammoniti avrebbe forse previsto i mammiferi? E quale è lo scienziato dell’epoca di d’Alembert che avrebbe potuto prevedere l’elettrodinamica di Maxwell? E Maxwell, ciò che venne dopo?

Paul Valéry, Cattivi pensieri, Adelphi, 2006

Proprio sicuri che, se cambiamo l'ordine, i fattori non cambiano?

Tanto per cominciare si dovrebbe iniziare morendo, e così tricchete tracchete il trauma è bello che superato. Quindi ti svegli in un letto di ospedale e apprezzi il fatto che vai migliorando giorno dopo giorno. Poi ti dimettono perché stai bene e la prima cosa che fai è andare in posta a ritirare la tua pensione e te la godi al meglio. Col passare del tempo le tue forze aumentano, il tuo fisico migliora, le rughe scompaiono. Poi inizi a lavorare e il primo giorno ti regalano un orologio d'oro. Lavori quarant'anni finché non sei così giovane da sfruttare adeguatamente il ritiro dalla vita lavorativa. Quindi vai di festino in festino, bevi, giochi, fai sesso e ti prepari per iniziare a studiare. Poi inizi la scuola, giochi con gli amici, senza alcun tipo di obblighi e responsabilità, finché non sei bebè. Quando sei sufficientemente piccolo, ti infili in un posto che ormai dovresti conoscere molto bene. Gli ultimi nove mesi te li passi flottando tranquillo e sereno, in un posto riscaldato con room service e tanto affetto, senza che nessuno ti rompa i coglioni. E alla fine abbandoni questo mondo in un orgasmo!

La vita dovrebbe essere vissuta al contrario
by Woody Allen

Hesse. Sulla vecchiaia.

L’età avanzata è un gradino della nostra esistenza che come tutti gli altri ha una fisionomia propria, una sua propria atmosfera e temperatura, delle gioie e delle miserie tutte sue. Noi, vecchi dai capelli bianchi, abbiamo, come tutti gli altri nostri più giovani fratelli umani, un compito che dà senso alla nostra vita; persino un ammalato di malattia mortale, un moribondo, che nel suo letto riesce appena ad avvertire ancora un richiamo dal mondo di qua, ha i suo compito, deve assolvere qualcosa di importante e di necessario. Essere vecchi è un compito altrettanto bello e santo quanto essere giovani; imparare a morire e morire sono una funzione altrettanto preziosa di ogni altra, a patto che si sia compiuta con rispetto per il significato sacro di ogni vita. un vecchio capace di odiare soltanto e di temere la vecchiaia, i capelli bianchi e l’approssimarsi della morte, non è un degno rappresentante della sua età, così come non lo è un uomo giovane e forte che odia il suo mestiere ed il suo quotidiano lavoro e cerca di sottrarvisi.
Diciamo in breve: per poter tener fede da vecchi alla propria natura e assolvere il proprio compito, occorre essere d’accordo con l’età e con tutto ciò che essa reca con sé; bisogna dire a tutto questo di sì. Senza quel sì, senza la rassegnazione a ciò che la natura esige da noi, il pregio e il senso dei nostri giorni – sia che siamo vecchi, sia che siamo giovani – vanno perduti e noi defraudiamo la vita.
Tutti sanno che la vecchiaia porta con sé acciacchi e che alla sua fine sta la morte. Anno per anno occorre fare sacrifici e piegarsi a rinunce. Bisogna imparare a diffidare dei propri sensi e delle proprie forze. Il tratto di strada che fino a poco fa costituiva ancora una piccola passeggiata si fa lungo e faticoso, e un brutto giorno non riusciamo più a percorrerlo. Al cibo, che per tutta la vita abbiamo mangiato così di gusto dobbiamo rinunciare. Le gioie e i piaceri del corpo si fanno più infrequenti e devono essere pagati sempre più cari. E poi tutti gli acciacchi e le malattie, l’indebolimento dei sensi, la paralisi degli organi, gli innumerevole dolori, specialmente nelle notti spesso così lunghe e angosciose… son tutte cose che non si possono negare, è una amara realtà. Ma triste e miserabile sarebbe solo abbandonarsi a questo processo di decadimento senza vedere che anche la vecchiaia ha il suo lato buono, i suoi vantaggi, le sue fonti di consolazione, le sue gioie. Quando due persone anziane di incontrano, non dovrebbero parlare solo della maledetta gotta, delle membra rigide, e del fiato che manca al salir delle scale, non dovrebbero a vicenda comunicarsi solamente le sofferenze e le arrabbiature, ma anche gli avvenimenti e le esperienze gaie e confortanti. E ce ne sono molti.
Se rammento questo lato positivo e bello della vita del vecchio, e avverto che noi canuti conosciamo anche sorgenti di forza, di pazienza e di gioia che non trovano posto nell’esistenza dei giovani, non spetta però a me parlare dei conforti della religione e della chiesa. Questo è il compito del sacerdote. Ma ben posso con animo riconoscente nominare alcuni dei doni che la vecchiaia ci dà. Il più caro è per me il tesoro di immagini che portiamo nella memoria dopo una lunga esistenza, e a cui con lo scemare dell’attività ci vogliamo con tutt’altra attenzione di prima. Volti e figure di uomini che non sono più sulla terra da sessanta o settant’anni continuano a vivere in noi, ci appartengono, ci fanno compagnia, ci guardano con occhi vivi. Case, giardini e città che nel frattempo sono spariti o si sono completamente trasformati li vediamo intatti come erano un tempo; e lontani monti e coste marittime visti in viaggio decenni or sono li ritroviamo freschi e colorati nel nostro libro di immagini. Il guardare, l’osservare e il contemplare divengono sempre più abitudine ed esercitazione, e inavvertitamente l’attitudine morale e materiale dell’osservatore compenetra tutto il nostro contegno. Incalzati dai desideri, sogni, bramosie, passioni, come la più parte degli uomini, abbiamo percorso infiammati, impazienti, ansiosi, pieni di aspettativa, gli anni e i decenni della nostra vita, violentemente commossi da adempimenti o da delusioni, e oggi, sfogliando cautamente il grosso libro illustrato della nostra esistenza, ci meravigliamo di come possa essere bello e buono essere sfuggiti a quella caccia, a quella furia, essere pervenuti alla vita contemplativa. Qui, nel giardino della vecchiaia, fioriscono certi fiori, a curare i quali un tempo non avremmo pensato. Qui fiorisce la pazienza, una nobile pianta; diventiamo più calmi, più indulgenti e quanto minore si fa la nostra brama di afferrare e di agire, tanto più grande diventa la nostra capacità di stare a guardare ed a sentire la vita della natura e degli uomini, lasciando che essa ci scorra davanti senza criticarla, con sempre nuova meraviglia per la sua varietà: a volte con partecipazione e con tacito rincrescimento, a volte ridendo, con chiara gioia, con senso d’umorismo.
Me ne stavo recentemente in giardino, avevo acceso un falò e lo alimentavo di foglie e di rami secchi. Una vecchia, che avrà avuto circa ottanta anni, passò lungo la siepe di biancospino, si fermò e mi guardò. Io la salutai, allora rise e disse: “Ha fatto benissimo, ad accendere quel focherello. Alla nostra età bisogna pure abituarsi poco per volta all’inferno”. Ed ecco intonato così un discorso durante il quale ci lamentammo l’uno con l’altra di ogni sorta di dolori e di privazioni, ma sempre in tono scherzoso. E alla fine del trattenimento ammettemmo di non essere poi, nonostante tutto, così terribilmente vecchi: e che a malapena ci si poteva comprendere tra i veri vegliardi, fintantoché viveva nel nostro villaggio la nostra decana, la centenaria.
Quando i giovanissimi dall’alto della loro forza e della loro incoscienza ci scherniscono perché trovano comici la nostra andatura faticosa e quei pochi capelli bianchi e i colli tendinosi, ci ricordiamo di come un tempo, in possesso della stessa forza e della stessa incoscienza, abbiamo riso anche noi allo stesso modo; e non ci sentiamo per questo inferiori e sconfitti, bensì ci rallegriamo d’essere fuori di quell’età e di essere divenuti un po’ più assennati e tolleranti.


Da: Hermann Hesse. Romanzo della mia vita. Scritti autobiografici, Mondadori, 1961
(questo testo è stato scritto da Hesse all'età di 75 anni)

Lowen. L'enigma della sfinge.

L’enigma della sfinge (quale è l’essere che cammina prima con quattro zampe, poi con due e quindi con tre?) contiene alcune chiavi importanti per la comprensione della natura umana se la nostra analisi va al di là della risposta di Edipo.
Edipo disse che l’uomo era l’animale che al mattino (nell’infanzia) cammina a quattro zampe, a due a mezzogiorno (età adulta) e a tre gambe la sera (la vecchiaia). Anche se questa è la risposta giusta all’enigma, la domanda più importante rimane in sospeso: Quale è la natura di questa creatura che ha modi diversi di stare o di essere al mondo? Ho affermato prima che Edipo si sentiva in colpa per l’arroganza della sua conoscenza; pensava di sapere. Nessuno è tanto cieco quanto chi pensa di sapere.
Esaminiamo i tre stadi della vita di un essere umano per vedere cosa significano. Da bambino, quando cammina a carponi, l’uomo è come gli altri animali. L’animale è caratterizzato dal modo in cui vive pienamente la vita del corpo, seguendo liberamente i suoi istinti e conoscendo soltanto il bisogno di soddisfare ciò che vuole e desidera. Anche il bambino è così… Il secondo stadio comincia prima che finisca il primo. Rappresenta la fase dell’esistenza dell’uomo in cui egli è più umano, è lo stadio cioè dell’acquisizione del linguaggio. L’uso del linguaggio è la caratteristica più specificatamente umana… L’enigma della Sfinge aggiunge un terzo stadio alla vita dell’uomo. Senza questo terzo periodo sembrerebbe fosse nostro destino condurre un’esistenza divisa. Quale è il significato del terzo stadio, quando l’uomo cammina su tre zampe? È davvero una strana creatura, né uomo né bestia; o forse, a questo punto, è uomo e bestia come la Sfinge. Ci vuole sempre un terzo termine per capire dualità e contraddizioni. In dialettica questo termine è chiamato sintesi e rappresenta la riconciliazione a un più alto livello dell’opposizione esistente tra tesi e antitesi. La nascita e la morte, per esempio, possono essere viste come un rapporto dialettico che nasce dalla vita. La sintesi è la rinascita o nuova vita, che emerge dalla loro interazione. Senza nascita e morte, non ci sarebbe rinascita e nuova vita.
Il vecchio non può più sostenersi su due gambe, quindi ha un bastone. Non può aspirare a essere divino. Si avvicina alla fine del viaggio ed è stanco. Accetta la sua mortalità e così la morte perde il terrore. Dai vecchi spesso la morte è considerata un riposo meritato, una fine gradita della fatica della vita, un ritorno alle origini…
(…) Quale è la prospettiva temporale nel terzo stadio della vita? Se il bambino vive nel presente e l’adulto nel presente e nel futuro, dove vive il vecchio? Quando si diventa vecchi e la vista diminuisce, il futuro si sbiadisce, il presente si oscura, ma il passato diventa vivo e reale. È tipico dei vecchi guardare indietro nel tempo. è davvero un fenomeno sorprendente. Significa che i vecchi sono il nostro legame con il passato e hanno così una funzione molto importante nella società. Il passato può essere letto sui libri, ma quando è raccontato da una persona anziana che lo ha vissuto, ha una realtà diversa”.


Da: Alexander Lowen. Paura di vivere, Astrolabio, 1982

Proverbio cinese

Occorrono 60 anni di vita per conoscere la propria anima,
poi si resta giovani in eterno.

Tutto il mondo è un palcoscenico

Tutto il mondo è un palcoscenico, e gli uomini e le donne son soltanto degli attori, che hanno le loro uscite e le loro entrate. Ed ognuno, nel tempo che gli dato, recita molte parte, e gli atti son costituiti dalle sue sette età. Dapprima l’infante che miaula e vomita in braccio alla balia, e poi lo scolaretto piagnucoloso che, la cartella sotto il braccio e la faccia lustra e mattiniera, si trascina come una lumaca, di malavoglia, a scuola. E poi l’innamorato, che sospira quanto una fornace, con in serbo una malinconica ballata in onore delle sopracciglia della sua amante. E poi un soldato, pieno di bestemmie in lingua straniera, con la barba lunga come il leopardo, geloso del suo punto d’onore, impulsivo e pronto ad attaccar lite, ansioso di toccar la bubbola della reputazione fin nella bocca d’una bombarda. E poi il magistrato, con la sua bella pancia rotonda lardellata di buoni capponi, lo sguardo atteggiato a severità e la barba tagliata secondo le regole, sempre pieno di massime assennate e di luoghi comuni. E così anch’egli recita la sua parte. La sesta età si trasporta entro il magro Pantalone in pantofole, con gli occhiali sul naso e una borsa al fianco; i suoi calzoni, gli stessi che portava da giovane, pur se ben conservati, sono ormai troppo larghi per le sue gambe ridotte all’osso; e la sua voce virile già grave, volgendo nuovamente al falsetto infantile, fischia e stride come in uno zufolo. L’ultima scena fra tutte, che conclude questa storia così strana e così piena di avvenimenti, consiste in una seconda infanzia e in un puro oblio: senza denti, senza occhi, senza gusto, senza nulla.

Shakespeare, Come vi piace

Memorylab

il laboratorio della memoria